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John Landis presenta 'Ladri di cadaveri'

24/12/2017 16:07

Marco Filipazzi

Intervista,

Da Milano, il nostro inviato Marco Filipazzi.

Eccentrico. Non vi sono altri aggettivi per etichettare John Landis, regista, padre di pellicole acute quanto surreali quali The Blues Brothers, Animal House, Un Lupo Mannaro americano a Londra.


Alla conferenza stampa per la presentazione del suo ultimo film, Ladri di cadaveri, Landis si siede a terra, sul pavimento di marmo, tra due statue d’epoca e davanti al manifesto del film, invitando i giornalisti a fare altrettanto se vogliono avere una sua intervista. Ride, scherza, si fa gioco di loro («Lei dice che sono un regista horror, ma sa quanti film di genere ho girato in quasi quarant’anni di carriera? Contando anche i due episodi televisivi dei Masters of Horror sono appena 4!»). E questo è solo il preludio, una sorta di antipasto alla conferenza vera e propria.


Ci si sposta nella sala conferenze del primo piano della Galleria d’Arte Moderna di Milano, dove tutto assume un tono più serio e la prima domanda che gli viene posta è come mai si è allontanato per così tanto tempo dal grande schermo. «I film che fanno gli studi americani di questi tempi non sono film che voglio fare. Mia moglie mi ha suggerito, prima di un nostro soggiorno in Inghilterra, di dare un’occhiata alle produzioni indipendenti che stavano fiorendo in quel paese. Una volta in Inghilterra ho visitato molte case di produzione e quando è stata la volta degli Ealing Studios, sono stati loro a sottopormi un progetto che, secondo loro, poteva interessarmi, e quel progetto era Burke&Hare. La sceneggiatura era molto intrigante e aveva trasformato questi due tizi piuttosto odiosi in eroi romantici. Era un’idea molto perversa, ma anche molto divertente. È stato quello a farmi decidere di rimettermi dietro la macchina da presa».


Poi la conversazione si sposta sulla cura meticolosa che John Landis ha prestato nella ricostruzione della Edimburgo del 1828, con scenografie e costumi degne di un film d’epoca e qualcuno fa notare che anche i personaggi di questo film, come i Blues Brothers, indossando un cappello che li contraddistingue e allora Landis coglie la palla al balzo e raccomanda a tutti una mostra che si sta tenendo alla Triennale di Milano: Il cinema col cappello e in locandina ci sono proprio le siluette inconfondibili di Dan Aykroyd e John Belushi.


Racconta che è merito di sua moglie (la costumista Deborah Nadoolman, che ha lavorato in quasi tutti i suoi film oltre che aver creato un altro look che ha fatto storia, quello di Indiana Jones) se entrambe le coppie indossano cappelli. «Ciò che rende un personaggio memorabile è la sua siluette, e non c’è miglio segno di riconoscimento se non un cappello».


Infine Landis si concede a una parata di autografi, apportando la propria firma su t-shirt, poster, locandine, brochure e ovviamente dvd , rimanendo affascinato dalla traduzione di certi titoli (non si capacita di come Coming to America abbia potuto diventare Il principe cerca moglie) e per finire trova anche il tempo di stringere mani e concedersi per qualche foto prima di scomparire lasciando dietro di sé la scia di una convinzione. Genio eccentrico.


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