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Breaking Bad (2008), la recensione della stagione 1

25/09/2019 10:00

Marco Filipazzi

Recensione Serie TV, Breaking Bad, Serie Tv Crime, Vince Gilligan,

Breaking Bad (2008), la recensione della stagione 1

Breaking Bad è una delle migliori serie tv mai realizzate

Breaking Bad è una delle migliori serie tv mai realizzate. E non nell’ultimo decennio, né negli anni 2000: è una delle migliori serie di sempre. Lo step finale di un processo d’evoluzione iniziato nel 1990 che ha trasformato il concetto di “serialità” nell’accanito binge watching di cui ci nutriamo quotidianamente. Netflix, Prime Video, Sky e un numero incalcolabile di servizi streaming e on-demand oggi sfornano una serie a settimana: ma se ciò è possibile (senza entare nel merito se sia un bene o un male) è anche grazie a Breaking Bad.

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Una catena lunga 20 anni

L’8 aprile 1990 va in onda il primo episodio di I segreti di Twin Peaks, con il quale David Lynch ha rivoluzionato il concetto di serialità, dilatando la narrazione, tenendo gli spettatori sul filo del rasoio con una sola domanda: chi ha ucciso Laura Palmer? Non è un caso che gli ascolti siano crollati dopo la rivelazione dell’assassino e che AMC (dopo aver fatto pressioni per risolvere il mistero) è arrivata a cancellare la serie. Il mondo forse non era ancora pronto, ma Twin Peaks aveva dimostrato la forza che uno show settimanale poteva esercitare sul pubblico.

 

Nel 1993 è la volta di X-Files, che con le sue 9 stagioni traghetta il concetto di serialità nel nuovo millennio. La serie di Chris Carter (che condivide moltissimo con Breaking Bad, ma su questo ci torneremo) sublima i punti di forza di Twin Peaks, intervallando alla narrazione principale, la cosiddetta “mitologia di X Files”: episodi autoconclusivi. Il suo impatto è enorme, amplificato dal dilagare di internet che divenne il nuovo punto di ritrovo degli appassionati.

 

Negli anni lo show è stato omaggiato e citato in ogni dove: il mantra The truth is out there diviene più popolare di quello sull’omicidio di Laura Palmer. Scrittori del calibro di Stephen King e William Gibson hanno sceneggiato alcuni episodi mentre tra le numerosissime guest-star compaiono Burt Reynolds, Lucy Liu, Bruce Campbell, Danny Trejo... oltre che a buona parte del cast principale di Breaking Bad e Lost.

 

Proprio la serie di JJ Abrams arriva a colmare nel 2004 il vuoto lasciato da X-Files, perfezionare quel mix di narrazione diluita e misteri trascinati per intere stagioni. Come Twin Peaks è un racconto corale, che fa dei personaggi il suo punto nevralgico e dei cliffhanger di fine episodio la propria forza propulsiva. Per tutta la durata delle sue 6 stagioni Lost è stato sulla bocca di tutti, ma con il senno di poi è evidente un gigantesco difetto: manca una visione d’insieme. Gli autori stessi non sapevano dove andare a parare e il continuo inanellarsi di colpi di scena, senza mai giungere a delle risposte soddisfacenti, alla lunga risulta frustrante per lo spettatore.

 

Ed è proprio questo che rende Breaking Bad una serie a prova di bomba: dal primo al 62esimo episodio Vince Gilligan ci racconta un’unica, lunghissima storia in cui nessun dettaglio, nessun personaggio, nessuna storyline viene lasciata al caso. Tutto e tutti sono precisi ingranaggi di un meccanismo a orologeria. Inoltre a produrre vi è la AMC, stessa casa di produzione di Twin Peaks, il che fa definitivamente quadrare il cerchio iniziato nel 1990.

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Dagli UFO alla METH

Vince Gilligan esordisce come sceneggiatore di X-Files, scrivendo ben 29 episodi. Nel corso degli anni diviene uno dei collaboratori più fidati di Chris Carter, figurando anche come produttore e regista. Ma dopo la fine dello show si ritrova disoccupato. In testa però gli ronzal’idea di una serie in cui il protagonista si trasforma lentamente nell’antagonista.

 

Nasce così il personaggio di Walter White, mite professore di chimica in un liceo di Albuquerque, New Mexico, con un figlio adolescente affetto da paralisi, una moglie quarantenne incinta di una figlia non programmata, costretto a fare un secondo lavoro in un autolavaggio per riuscire a far fronte alle spese famigliari. E come se non bastasse il giorno del suo 50esimo compleanno scopre di avere un cancro ai polmoni e un’aspettativa di vita di al massimo un paio d’anni.

 

Walt è anonimo, frustrato, remissivo, costantemente messo in ombra dai personaggi comprimari. Uno su tutti è il cognato Hank, agente della DEA dal carattere esuberante e dalla carriera in volata. E proprio grazie a lui che Walt scopre il mondo della metanfetamina; un mercato nero in espansione, capace di generare grossi introiti. In Walter allora scatta qualcosa: perché non mettersi a produrre meth in laboratorio? D’altra parte è un ottimo chimico e ha un disperato bisogno di denaro per pagarsi le cure e, non dovesse sopravvivere al cancro, evitare di lasciare la sua famiglia sul lastrico. Inizia così la sua lenta (lentissima) tarsformazione in Heisenberg, una sorta di alter-ego malvagio, la parte “cattiva” di Walt che per anni è rimasta nascosta e ora è affamata di rivalsa.

 

Breaking Bad mutua da X-Files non solo il creatore Vince Gilligan, ma anche altri sceneggiatori e registi come Thomas Schnauz, John Shiban e Michelle MacLaren (squadra che poi contribuirà anche allo spin-off Better call Saul). Anche gran parte del cast artistico (per un totale di ben 16 attori tra ruoli principali, secondari e marginali) è comparso, negli anni, come guest-star nello show di Chris Carter, al punto che X-Files sembra quasi una sorta di prova generale per Breaking Bad. Walter White/Bryan Cranston era protagonista dell’episodio 6x02, Drive, scritto proprio da Gilligan. Jesse Pinkman/Aaron Paul era al centro della 9x05 Lord of the flies. Il cognato Hank Schrader/Dean Norris compariva nella 2x22 F. Emesculata e interpretava anche lì un poliziotto. Tuco Salamanca/Raymond Cru è nientemeno che El Chupacabra dell’episodio 4x11 El mundo gira. E così via.

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Reazioni collaterali

L’espressione “breaking bad” proviene dallo slang del profondo sud degli USA ed è un modo di dire simile a “fare il diavolo a quattro”. In italiano la serie è stata “sottotitolata” in riferimento a tutto ciò che succede quando Walt decide di cucinare metanfetamina.

 

Breaking Bad è la storia di un uomo affascinato dal potere e bramoso di denaro, ma soprattutto incapace di fermarsi una volta che ha assaporato entrambi. Questo suo impulso, questa smania di rivalsa verso tutto e tutti, è dettata dal fatto che per anni è stato incapace di far emergere il proprio carattere in maniera decisa, subendo angherie e soprusi da praticamente chiunque. La diagnosi del cancro lo mette di fronte al fatto che orami non ha più nulla da perdere e con la scusa (perché è una scusa, sin dal primo episodio, che si gonfierà stagione dopo stagione) di stare facendo tutto ciò per la propria famiglia, Walter può finalmente essere tutto ciò che ha sempre desiderato. Da qui nasce il suo alter-ego: Heisenberg, in omaggio a uno dei padri della meccanica quantistica.

 

Breaking Bad racconta la sua trasformazione e ciò che ne consegue: i sotterfugi, i compromessi e soprattutto le bugie. Una trasformazione graduale, lentissima, a tratti estenuante, che nel corso dei 7 episodi che compongono la prima stagione viene appena sfiorata, dando allo spettatore solo un assaggio di ciò che lo aspetterà. Perché Breaking Bad è una serie incostante, che alterna scene dal ritmo pazzesco, cliffhanger adrenalinici, colpi di scena che ti prendono lo stomaco a puntate incredibilmente lente e introspettive, dove si ha l’impressione che non accada nulla. Eppure, episodio dopo episodio, costruisce una storia coerente, di ampio respiro, dove ogni tassello, a tempo debito, trova la giusta collocazione in una narrazione in grado di assuefare lo spettatore, rendendolo dipendente e incapace di staccarsi dallo schermo. Come se fosse drogato di metanfetamina blu.

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