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L'uomo invisibile: la recensione dell'horror con Elisabeth Moss

02/04/2020 15:00

Marco Filipazzi

Recensione Film, Film Horror, Blumhouse, Leigh Whannell, L'Uomo Invisibile, Elisabeth Moss,

L'uomo invisibile: la recensione dell'horror con Elisabeth Moss

L'uomo invisibile diventa uno spettro del passato, un terrore tanto radicato che è impossibile da scacciare

Dracula, il fantasma dell'Opera, l'uomo lupo, il mostro di Frankenstein, la mummia, l'uomo invisibile, il mostro della laguna nera. Sono i sette mostri classici della Universal, i pilastri su cui questo colosso della produzione ha fondato il proprio impero tra gli anni '20 e i '50. Archetipi narrativi derivati dalla letteratura o dal folklore popolare; personaggi immortali, la cui storia, sebbene sempre identica a se stessa, può essere aggiornata con il passare dei secoli: basti pensare che Frankenstein di Mary Shelley ha 202 anni e molte sue tematiche sono ancora attuali! Di tanto in tanto la Universal rispolvera uno di questi classici e lo rivende al pubblico attraverso nuovi attori, nuovi temi, nuove tecnologie. Ma l'ultimo tentativo, quello di creare un universo condiviso dei mostri (cosa che di fatto è sempre esistita grazie a improbabili crossover come Frankenstein contro l'uomo lupo o La casa degli orrori, sino al più recente Van Helsing) non ha dato i frutti sperati dato che sia Dracula Untold che La Mummia si sono rivelati dei flop. Oggi, tre anni dopo l'avventura egizia di Tom Cruise, la Universal ci riprova, facendo squadra con la Blumhouse e ridimensionando di molto la messa in scena, riportando "in sala" (si fa per dire dato che in Italia è approdato direttamente in streaming a causa dell'emergenza Coronavirus) L'uomo invisibile a quasi 80 anni dalla sua prima apparizione sullo schermo. 

Niente messe in scena faraoniche questa volta, niente catastrofi di portata mondiale, niente eroi che salveranno il mondo dall'ennesima minaccia d'estinzione globale. L'uomo invisibile è un film su scala ridottissima, il tipico prodotto Blumhouse studiato per contenere i costi (appena 9 milioni di dollari di budget) e massimizzare i profitti. Girato perlopiù tra quattro mura e con pochi attori, costruisce l'orrore attraverso regia, fotografia e suggestioni più che sul mostrare a tutti i costi. Non a caso a dirigere l'operazione c'è un fidatissimo di Jason Blum (ha girato sotto la sua ala tre lungometraggi su tre!): Leigh Whannell, che si è fatto le ossa con Insidious 3 - L'inizio e il bellissimo Upgrade.

 

Oltre a dirigere, Whannell si occupa anche della sceneggiatura, prendendo il personaggio scritto da H.G. Wells nel 1881 (non proprio l'altro ieri) e trovando una chiave di lettura attualissima per reinterpretarlo in modo intelligente.

 

Nell'opera originale, il fisico Adrian Griffin scopre la formula dell'invisibilità e la prova su di sé; approfittando di questa sua nuova natura per instaurare un regno di terrore. In questo nuovo adattamento, Adrian Griffin lavora nel campo dell'ottica, è ricco e brillante all'apparenza, ma un mostro tra le mura domestiche. 

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Quando sua moglie Cecilia (Elisabeth Moss, inarrestabile stella in ascesa) trova il coraggio di scappare, Adrian inizierà a perseguitarla con una sua scoperta rivoluzionaria: l'invisibilità! Il regno di terrore di Adrian qui non è più un pazzo piano per la conquista del mondo, ma una violenza psicologica costante, che spingerà Cecilia fin sull'orlo della pazzia.

Inutile negarlo: era azzardato fare un adattamento del genere, che ha come perno narrativo (e metafora principale) la violenza sulle donne, in un'epoca post Weinstein nella Hollywood #metoo. Tanto più se a scrivere e dirigere è un uomo. E invece Leigh Whannell confeziona a sorpresa un film riuscito, che nella sua prima parte riesce ad affrontare una tematica delicata come la violenza domestica in modo intimo, mettendo in scena i devastanti effetti psicologici di una persona traumatizzata. Una vita passata nell'angoscia, che lentamente si dirada. E quando finalmente tutto sembra volgere al meglio, ecco che la presenza di Griffin torna a incombere su di lei. Invisibile, impalpabile, come se fosse solo nella sua mente. 

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L'uomo invisibile diventa quindi uno spettro del passato, un terrore tanto radicato che è impossibile da scacciare e dal quale la protagonista non riesce a sfuggire. Esattamente come una violenza psicologica ripetuta ancora e ancora, per anni, negata in pubblico, ma asfissiante nel suo intimo.

 

Una metafora davvero poco velata, ma decisamente efficace. Il film è costruito con piccoli tocchi, scene intime che denotano un grande lavoro di scrittura alle spalle; lunghe sequenze dal ritmo dilatato e dal soffocamento crescente, basate su silenzi (incredibile il sound design della prima ora del film), gesti, fotografia e angolazioni d'inquadratura. Come un film di fantasmi della scuola di James Wan (Whannell è stato suo collaboratore per oltre un decennio), ma più reale e angosciante proprio per le tematiche che affronta. E non pensa nemmeno il ritmo lento e la narrazione dilatata che portano il film a 124 minuti: tantissimo per un horror! Alla fine L'uomo invisibile non è nemmeno più la storia dello scienziato Adrian Griffin che impazzisce a causa della sua invenzione: diventa la storia di Cecilia e della sua liberazione dal marito. Che poi questo sia invisibile è solo un dettaglio. Ecco, se questa è la strada che la Universal intende intraprendere per modernizzare i suoi mostri classici, allora non vediamo l'ora di assistere al prossimo.​


schermata2020-08-26alle19-1598464636.png

Genere: thriller, horror

Titolo originale: The Invisible Man

Paese/Anno: USA/Australia, 2020

Regia: Leigh Whannell

Sceneggiatura: Leigh Whannell

Fotografia: Stefan Duscio

Montaggio: Andy Canny

Interpreti: Elisabeth Moss, Oliver Jackson-Cohen, Aldis Hodge,

Storm Reid

Colonna sonora: Benjamin Wallfisch

Produzione: Blumhouse Productions, Goalpost Pictures, Nervous Tick

Distribuzione: Universal Pictures

Durata: 124'

Data di uscita: 27/03/2020

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