Nell'edizione del festival torinese che regala il restauro di In the mood for love, l'apparizione di un film che sembra avere la gioia estetica di Hong Kong Express è un piccolo tuffo al cuore. Peccato però che il velo cada fin troppo presto, rivelando che di Wong Kar-wai, dietro la facciata, c'è ben poco.

Mickey on the road è una storia di amicizia che parte da Taiwan: Gin Gin è una go-go dancer, Mickey vorrebbe essere ammessa al tempio come ballerina di arti marziali; la tradizione non accetta donne perchè “non pulite” ma Mickey, in realtà, sembra essere nata in un corpo maschile.
Gin Gin, per rivedere un ragazzo che non risponde alle sue telefonate, convince l'amica a partire per Guangzhou: per Mickey sarà anche l'occasione di incontrare il padre che non ha mai conosciuto. Durante il viaggio un giovane, ricco imprenditore dall'animo poetico, si avvicinerà sempre più ad una di loro, mentre gli incontri pianificati andranno nel peggiore dei modi: il bisogno d'amore di entrambe non verrà ricambiato che con un po' di denaro.
A partire dalla matrice del Wong Kar-wai anni '90, il film si avvicina ulteriormente a pellicole dei primi anni 2000, che sempre da là venivano: Millennium Mambo di Hou Hsiao-hsien, Hollywood Hong Kong di Fruit Chan, ma anche titoli di Sofia Coppola quali Lost in Translation e Somewhere. Il problema è che quell'immaginario pop, riproposto a distanza di anni, perde quella che era la sua modernità: Mickey on the road, semplicistico e sbrigativo già dal titolo, sembra fare i compiti dopo quelle lezioni di cinema, ricalcandone la calligrafia senza però approfondirne i contenuti. Perchè al di là delle parentele anche narrative, è soprattutto il bagaglio estetico che Mian Mian Lu si porta dietro, fatto di luna park, hotel di lusso e locali notturni.

Il film è una festa per gli occhi, come accade spesso con il cinema asiatico, ma il suo carattere esornativo va oltre il limite: dall'uso eccessivo del ralenty (nei giri in moto e nei balli sul tetto della macchina) alle ombre cinesi sul cinema in strada, fino a un campionario di oggetti che trasformano il film in un bazar visivo. Ne esce un ritratto di due adolescenti un po' troppo povero di sostanza, nonostante i risvolti dolorosi e difficili messi in gioco: Gin Gin e Mickey sono due personaggi belli ma evanescenti, due icone della giovinezza, che funzionano però per un video musicale (di Easy baby dei La Luz, nel finale) più che per un film. Un po' poco per quel “viaggio” dichiarato dal titolo, che non va molto oltre le confidenze da cameretta.
Nè sbagliato né brutto, ma fermo alle sue immagini compiaciute e schiavo dei “suoi” codici fino alla fine: dalla metafora dei pesci, che si premura di sottolineare a tutti il senso della narrazione, fino alla sequenza conclusiva, della quale la storia del cinema ha già innumerevoli copie in archivio.

Genere: drammatico
Paese/Anno: Taiwan, 2020
Regista: Mian Mian Lu
Sceneggiatura: Mian Mian Lu
Fotografia: Tom Fan
Montaggio: Chen-Ching Lei
Interpreti: Pao-Wen Yeh, Ya-Ling Chang, Yu Chieh Hsu
Colonna sonora: Chih-Yuan Hsu