Nel 2014 il regista portoghese Pedro Costa si fece notare al Festival di Locarno con Cavallo Denaro, ma quell'anno vinse Lav Diaz, autore per certi versi a lui affine. L'anno scorso, da quello stesso Festival, ne è uscito invece vincitore con Vitalina Varela, che è anche tra i candidati agli Oscar come Miglior Film Straniero (la notizia è di questi giorni).
Nome e cognome già nel titolo, come per le grandi storie con una sola protagonista, Vitalina Varela prende le mosse dall'arrivo a Lisbona, dove Vitalina atterra per il funerale del marito che trentanni prima l'aveva lasciata a Capoverde. È però ormai troppo tardi, perchè il compagno di una vita non c'è più, e in realtà non c'è neanche mai stato: un estraneo tra gli altri estranei, in una terra che la donna non conosce e che le appare ostile fin dal suo arrivo in aeroporto.
Ma dopo aver atteso quel viaggio tanti anni, Vitalina decide di restare e parlare per la prima volta al marito defunto, attraverso brevi monologhi dei quali il film si servirà per ricomporne la storia.
Un Pedro Costa identico a se stesso, che si ripresenta con un lavoro vicinissimo in tutto al precedente, a partire dalle tinte scurissime dei suoi fondali: un allestimento tutto teatrale, dove sembra di muoversi nel buio attraverso le quinte della scena, illuminata solo dalla luce di una torcia. E proprio tra questi fondali lo spettatore si ritrova dentro un quadro già visto: è nientemeno che da Caravaggio e Rembrandt che il regista prende in prestito la sua rappresentazione delle tenebre, della lotta tra il buio e la luce.
Film pittorico per eccellenza, Vitalina Varela si affida di nuovo alla fotografia di Leonardo Simões, chiaramente ispirato dal pittorialismo fotografico; quadro funebre muto, buio e spoglio, con un'immagine fuori dal tempo che i pochi segni della modernità (un'auto che passa, un gilet giallo fosforescente) non riescono a compromettere.
E quei riferimenti pittorici già citati, si rispecchiano ancora una volta nel cinema dei grandi maestri ai quali Costa si rifà: C.T. Dreyer e ancora di più Robert Bresson. Tra le tante analogie con i tableaux vivants del film d'arte, una per tutte quella dei frequenti primi piani sulla mano (e anche sui piedi nudi, scendendo dall'aereo) della protagonista: un dettaglio ricorrente dalla fotografia di Alfred Stieglitz ai film di Bresson.
Ma al cospetto di tali nomi, quello di Pedro Costa finisce inesorabilmente per sembrare un emulatore non all'altezza: la sua è una pellicola stilisticamente pesante, troppo debole nella scrittura, mortifera al di là del soggetto.
Vitalina Varela è un'opera per soli cinefili (e sedicenti tali) che nulla concede all'enterteinment: certo ricca di spunti per lo spettatore che ha il vecchio grande cinema negli occhi, ma povera, faticosa e impenetrabile per tutti gli altri. E quei molti spunti restano un tentativo di lasciare la strada maestra per trovarne una propria, che diventa però poco più di una pista solitaria.
Genere: drammatico
Titolo originale: Vitalina Varela
Paese, Anno: Portogallo, 2019
Regia: Pedro Costa
Sceneggiatura: Pedro Costa, Vitalina Varela
Fotografia: Leonardo Simões
Montaggio: Vítor Carvalho e João Dias
Interpreti: Vitalina Varela Ventura, Manuel Tavares Almeida, Francisco Brito
Produzione: Optec See
Distribuzione: Rai Play
Durata: 124'