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The Undoing - Le verità non dette (2020), stagione 1: la recensione della serie con Hugh Grant e Nicole Kidma

21/01/2021 18:17

Alfredo De Vincenzo

Recensione Serie TV, Sky Original (Now Tv), hugh grant, Nicole Kidman, Serie Tv Thriller, Serie Tv USA, David E. Kelley,

The Undoing - Le verità non dette (2020), stagione 1: la recensione della serie con Hugh Grant e Nicole Kidman

La mini-serie di David E.Kelley è un thriller avvincente ma scade nel clichè e sbaglia completamente il finale

La (mini)serie di David E.Kelley è un thriller avvincente ma scade nel clichè e sbaglia completamente il finale
 

Chi aveva visto Big Little Lies - Piccole grandi bugie sicuramente sapeva già cosa aspettarsi da The Undoing - Le verità non dette, non fosse altro per l’assonanza nei titoli (italiani) delle due serie. E anche perché sono entrambe create da David E. Kelley e interpretate da Nicole Kidman.

Tuttavia The Undoing, tratta dal romanzo Una famiglia felice di Jean Hanff Korelitz, edito in Italia nel 2016, rispetto a Big Little Lies, che era un capolavoro di intelligenza, sfrontatezza e cattiveria, rientra a piene mani nella categoria delle serie un tantino sopravvalutate, per diversi motivi. Vediamo quali sono.

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Di che cosa parla The Undoing

La storia raccontata è quella di una coppia di borghesi americani, formata da un oncologo (Hugh Grant) e da una psicoterapeuta (Nicole Kidman), che si ritrova coinvolta nell’omicidio di una giovane mamma. La costante è l’andirivieni di sospetti, che coinvolgono principalmente tre personaggi e che portano tuttavia a strade senza sbocchi credibili.

 

La serie tv, in parte, fa quello per cui è stata creata: dilata in maniera corretta la suspense fino ad arrivare al finale (prevedibile?), non risparmiando colpi di scena a volte interessanti, altre volte arruffati.

Perchè The Undoing funziona e non funziona

Durante tutta la visione si percepisce chiara la patina ben confezionata dell’Upper East Side newyorchese, come meravigliosa coperta di un prodotto altrimenti vuoto. Da un lato Hugh Grant, dopo le interpretazioni in Death to 2020 e The Gentlemen, sembra aver riacquisito una verve artistica che sembrava sparita; dall’altro Nicole Kidman - non me ne voglia - è meno espressiva di Brandon Routh. In una serie in cui i tratti crime si mescolano a quelli della sfera emotiva (meraviglioso il personaggio del figlio della coppia), la natura algida di Kidman spesso non si sposa bene con il suo personaggio e con l’obiettivo della serie.

 

Donald Sutherland, che interpreta il padre di lei, invece, è meravigliosamente centrato nella parte. Anche se il suo personaggio è piuttosto fuori focus.

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Sia chiaro, The Undoing è godibile e intrigante.

 

In sei episodi esaurisce una storia di bugie, omicidi e vendette, rispondendo con audacia alla brama di binge watching dello spettatore. Ciò che manca piuttosto è la credibilità di alcune scelte narrative, discutibili come i ritratti di alcuni personaggi: come il detective interpretato da Edgar Ramirez, che aveva grosso potenziale e che invece è solo abbozzato. Ma soprattutto, errore imperdonabile per il genere, The Undoing sbaglia totalmente il finale. L'epilogo è largamente prevedibile e privo dell’enfasi necessaria.

L'America raccontata da David E. Kelley

Altro aspetto difficilmente digeribile è il ritratto che The Undoing fa del mondo occidentale: l’idea che l’Upper East Side di New York potesse essere esso stesso un personaggio della storia era affascinante e accattivante. Tuttavia il classismo, tipicamente americano - ultimo, speriamo, strascico dell'era trumpiana - nella serie viene ancora di più esaltato proprio quando si prova a smontarlo.

Un esempio. Fare una battuta sull’ipocrisia della famiglia borghese e poi mostrare la famiglia meno abbiente con tutti i cliché del caso è quantomeno banale e patetico. A che serve buttare qua e là frasi sulla critica all’apparenza se in fondo sei una serie borghese, non solo nell’ambientazione, ma anche nel linguaggio e negli stilemi?

Per questo The Undoing andrebbe guardato come puro intrattenimento, contando fino a dieci prima di urlare al capolavoro. I toni entusiastici sembrano arrivare più dallo stomaco degli spettatori, che dal loro cuore e cervello. Un po’ come è accaduto agli elettori americani nel 2016.

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