Nell'estate del 1962 Ulrike Ottinger parte alla volta di Parigi sulla sua Isetta, una vettura resa ancora più bizzarra dai gufi che lei stessa vi ha dipinto. L'idea è quella di “fare l'artista” e, come da buona tradizione, il primo approdo non può che essere una libreria. I gloriosi anni '20 sono ormai lontani: ma lo spirito che animava quel periodo, già rinnovato negli anni '40, a distanza di altri vent'anni è rimasto lo stesso. Dopo ogni guerra, Parigi riprendeva infatti quella sua festa mobile, che in fondo non era mai finita davvero.
La guerra d'Algeria si è appena conclusa quando Ulrike arriva in città. La prima tappa non è da Shakespeare and Company di Sylvia Beach ma da Fritz Picard: tedesco come lei, somigliante a Goethe ma anche a Liszt, quel libraio ha portato un po' di Berlino a Parigi nella sua Calligrammes, le cui lettere campeggiano anche sull'orologio dell'insegna, al posto delle cifre. Ma di veri orologi nemmeno Ulrike ne avrà bisogno, perchè «ogni ora ha il suo suono».
Paris Calligrammes, che proprio da quella libreria prende il titolo e le mosse, ricostruisce gli anni parigini attraverso le sue esperienze di vita e artistiche, dalla pittura al cinema.
Immagini di repertorio, a volte anche di film, si alternano a riprese effettuate oggi per raccontare, in un continuo passaggio dal bianco e nero al colore, il percorso di un'artista poliedrica e infaticabile (quasi trenta pellicole al suo attivo).
Proprio l'amore per i libri sembra essere il filo conduttore che attraversa tutto il documentario, dall'avvio nella libreria Calligrammes, passando per la libreria La Hune, fino alla Bibliothèque Nationale, nella quale Walter Benjamin (vero nume tutelare di questo lavoro) trascorreva giornate intere: «Le foglie della Biblioteca Nazionale: quando sfogli le pagine qui sotto, senti il loro fruscio là sopra».
Nella prima parte del film è Parigi che ruba la scena: gli sguardi sui tetti della città dalle sue chambres de bonne, le scorribande dai bouquinistes insieme all'amico Picard, le passeggiate per il “villaggio” di Saint Germain o al giardino coloniale del Bois de Vincennes: «Camminare e guardare era il mio passatempo preferito», dichiara la regista con pieno spirito da flâneuse. E quando finalmente Parigi le appartiene, la Ottinger si prende il suo spazio nella seconda parte del film: la pop art francese dei suoi quadri e l'incontro con il cinema, dai film etnogtrafici di Jean Rouch fino alla Cinémathèque, dove si compie la sua «educazione sentimentale nella storia del cinema».
Lo stesso Henri Langlois, fondatore della cineteca, compare mostrandoci alcuni oggetti dalla sua wunderkammer: la stella di Man Ray, il teschio da Psyco, un ingranaggio dal set di Tempi Moderni. Ma oltre che artistico, quello del film è anche un riassuno storico di quegli anni turbolenti: dai conti da fare con la guerra d'Algeria appena conclusa (ci prova subito Jean Genet), fino agli scontri violenti del '68.
Paris Calligrammes è un film «per chi non ha gli occhi nelle tasche», un ricordo fedele e insieme appassionato di una vita da bohème negli anni Sessanta. Una decade feconda e felice ormai distante, ma con una vivacità che sembra non voglia spegnersi mai: aspettiamo anche oggi, con trepidazione, che riprenda quella incredibile festa mobile.
Paese, Anno: Francia/Germania, 2019
Genere: documentario
Regia: Ulrike Ottinger
Sceneggiatura: Ulrike Ottinger
Durata: 130'