Dopo il grottesco terzo episodio, il registro della saga di Guinea Pig cambia ancora, lasciandosi definitivamente alle spalle il modello torture porn con tutti i suoi eccessi. In cabina di regia torna Hideshi Hino (già autore del secondo, violentissimo capitolo, e l’unico ad aver diretto due episodi della saga) che prende nuovamente spunto dai suoi manga per imbastire questo film.
Con ben 63 minuti, Mermaid in a manhole è il più lungo tra i Guinea Pig. Prende ancora le distanze dai precedenti, lasciandosi alle spalle la violenza ostentata a ogni costo. Anche perché com’è possibile fare di più di Flower of flesh and blood? A rivaleggiare con cotanto irrazionale sadismo ci proverà Fred Vogel con il suo August Underground’s Mordum, ma dovranno passare altri 15 anni per vederlo.
Hideshi Hino, quindi, punta tutto su un nuovo registro: quello del disgusto, della nausea e del ribrezzo.
La storia è quella di un pittore che, in seguito alla morte della moglie, si getta a capofitto nel suo lavoro, girovagando nelle fogne in cerca di soggetti da dipingere (ognuno ha i propri hobby).
Così che si imbatte nella sirena nel tombino del titolo, gravemente malata, con delle strane escrescenze che le ricoprono un fianco. L’uomo la porta a casa per poterla accudire e ritrarre nelle sue opere, ma la situazione continua a peggiorare. Pustole e piaghe le ricoprono lentamente tutto il corpo: l’uomo usa queste secrezioni per dipingere il ritratto ma, quando la situazione diventa insostenibile, la sirena lo implora di ucciderla.
Su tutto aleggia ancora una volta lo spettro di Visione d’Inferno, a partire dalla figura del pittore pazzo (ci sono persino alcune battute simili tra manga e film), anche se la storia è tratta da un’altra opera di Hino: Mister Manhole.
Il film è un body horror a tutti gli effetti: un tripudio infetto che, minuto dopo minuto, si gonfia come una pustola, sino a esplodere. Hino celebra il lento sfacelo del corpo della sirena con lunghe inquadrature che indugiano sulle piaghe, sulle squame, sulle pustole. A un certo punto ci sono persino vermi, in quella che forse è la scena più insostenibile.
Insomma, anche se adotta un registro visivo molto diverso rispetto a Flower of flesh and blood, Hino sfida ancora il livello di sopportazione dello spettatore, questa volta mettendo alla prova il suo stomaco anziché i suoi nervi. Ma c’è di più.
Oltre a tutto questo disgusto, è possibile trovare anche significati più profondi in quest’opera. Per alcuni, infatti, Mermaid in a manhole è una celebrazione del decadimento della bellezza: il fiume in cui viveva la sirena è diventato una fogna; la sirena stessa a poco a poco si incancrenisce sino a decomporsi in una massa informe. C’è qualcosa di poetico anche nel legame tra lei e l’artista, la cui ossessione per ritrarla nel migliore dei modi possibili diventerà la chiave che lo condurrà alla follia e allo smembramento a cui assistiamo nel finale.
Insomma, l’ennesima riprova che anche nella più atroce opera cinematografica è possibile trovare significati nascosti, sottotesti e bellezza.
Genere: estremo, horror
Titolo originale: Ginî piggu: Manhôru no naka no ningyo
Paese, Anno: Giappone, 1988
Regia: Hideshi Hino
Sceneggiatura: Shigeru Saiki, Mari Somei, Masami Hisamoto, Gô Rijû
Produzione: Sai Enterprise
Durata: 63'