In un futuro indeterminato, lo psicologo Kris Kelvin (Donatas Banionis) viene incaricato di partire per una lontana stazione spaziale in orbita intorno al pianeta Solaris, per indagare su alcuni strani fenomeni in atto sui membri dell’equipaggio.
Giunto alla stazione, lo scienziato si rende conto della condizione di spaesamento in cui si trovano gli uomini, apparentemente turbati e incapaci di proseguire le ricerche a causa di incomprensibili apparizioni dovute all’influenza del misterioso oceano pensante, sostanza che ricopre l’intero pianeta.
Molto prima che la fantascienza esplodesse sul grande schermo, frammentandosi fra cinema di consumo o genere di nicchia destinato a pochi eletti, Andrei Tarkovsky dirigeva Solaris, suo terzo film e suo indiscusso capolavoro, il più grande film di sci-fi mai girato fuori da Hollywood.
Troppo presto liquidato come risposta sovietica a 2001: Odissea nello Spazio, bistrattato, tagliato, riadattato e tuttavia idolatrato, alla sua uscita nel 1972 Solaris aveva già alle spalle una lunga storia di incomprensioni, di richieste censure e di critiche piovute sul regista e sulla produzione, una macchina del cinema perfettamente oliata, come mai prima era stata messa in azione in URSS.
Proprio Stanislaw Lem, scrittore polacco dal cui omonimo romanzo del 1961 Tarkovsky trae il suo film e autore insieme al regista della sceneggiatura, fu uno dei suoi più feroci osteggiatori. Convinto che il film risultasse poco filosofico e troppo cinematografico, il lungimirante Lem si rese conto prima di tutti che Solaris era una pellicola di eccezionale modernità, realizzata con mezzi prodigiosi e destinata, a inizio anni settanta, a rilanciare il cinema sovietico nel mondo. Premio della Giuria a Cannes nel 1972, successo fra le polemiche a Venezia, cult (seppure tardivo) negli Stati Uniti della crisi e quindici anni di ininterrotte proiezioni in Unione Sovietica.
Un film troppo grandioso per essere ignorato tanto nel blocco orientale quanto in quello occidentale. Per quanto la matrice resti nel complesso romanzo di Lem, Tarkovsky realizza il desiderio di fare qualcosa di nuovo che rivoluzioni non solo il cinema sovietico ma l’intero rigido sistema artistico est-europeo.
Per la prima volta nella fantascienza contemporanea, si insinua tra le pieghe di Solaris un velo di accondiscendente tristezza e di amaro romanticismo, un carattere di avanguardia che neanche Stanley Kubrick, nel suo capolavoro, può vantare. Callisto Cosulich parlò di «fantacoscienza» e ancora oggi questa definizione appare la più completa a spiegare il mix di esistenzialismo, misticismo e grandiosità interstellare che Tarkovsky infonde alla sua opera.
Profeticamente convinto dei rischi di una fantascienza priva di contenuti, il regista sovietico realizza un film d’autore sotto forma di colossal, una pellicola grandiosa - alle cui scenografie lavorano ingegneri aerospaziali sovietici con mezzi tecnici d’avanguardia - dotata però di un ritmo lento, meditativo e di immagini ricorrenti, utilizzate non come simboli (in stile Kubrick) ma come elementi di un rebus.
Se infatti – in quanto odissea – quello di Stanley Kubrick è un viaggio nella conoscenza umana, anche Tarkovsky indaga l’umano, ma approda a conclusioni definitivamente nichiliste dove, oltre il ricordo del passato e un futuro appena pensabile, ciò che rimane è solo un presente immaginifico in cui la natura – materializzata nell’Oceano Pensante - genera l’uomo, con le sue passioni e i suoi drammi, lo controlla e infine lo distrugge. Unico elemento a contraddistinguere l’umano è la sua forza decisionale, anche laddove esso vive un’esistenza sospesa tra realtà e materia del pensiero, oggetto di paura o di amore.
Il cinema fantascientifico dagli Ottanta in poi indagherà nelle sue varianti il tema dell’amore fra uomo e creatura disumana (quasi sempre, auto-creazione dell’uomo) provando a offrire una definizione di umanità.
Nel 1972 Solaris narra tra le altre cose della storia d’amore tra Kris e Hari, rivoluzionando l’idea tradizionale di fantascienza e riportando fra gli spettatori dell’Unione Sovietica – vittime di una de-sentimentalizzazione tipica dei regimi antidemocratici – la passione e la bellezza, ispirandosi alla pittura del Cinquecento e Seicento nordico e diffondendo lungo il film la colonna sonora struggente del Preludio in Fa minore di Johann Sebastian Bach, uno dei pezzi più mistici del compositore tedesco.
Genere: fantascienza
Titolo originale: Солярис, Soljaris
Paese, Anno: URSS,1972
Regia: Andrej Tarkovskij
Soggetto: Stanisław Lem (romanzo)
Sceneggiatura: Andrej Tarkovskij, Fridrich Gorenštejn
Fotografia: Vadim Jusov
Montaggio: Ljudmila Fejginova
Interpreti: Donatas Banjonis, Natalja Bondarchuk, Nikolaj Grinko, Jurji Jarvet, Anatolij Solonitsyn, Vladislav Dvorzetskij, Sos Sarkisjan, Olga Barnet, Olga Kizilova, Tatyana Malykh, V. Kerdimun
Musiche: Eduard Artem'ev
Produzione: Mosfilm, Chetvyortoe Tvorcheskoe Obedinenie
Distribuzione: Euro International Film
Durata: 160'