È il 1929 quando viene pubblicato Gli indifferenti ma Alberto Moravia, che doveva affrontare una convalescenza, ne aveva iniziato la stesura già nel 1924: all'epoca aveva 18 anni. Non sembra eccessivo scomodare il nome di Raymond Radiguet, altro enfant prodige che l'anno prima terminava Il diavolo in corpo, perchè molti sono i punti di contatto tra i due.
Di entrambi i romanzi, poi, usciranno adattamenti cinematografici a distanza di decenni. Quanto a Gli Indifferenti, è palese che questa versione di Leonardo Guerra Seràgnoli ricalchi quella di Francesco Maselli del 1964: un film minore, riuscito ma privo di grande personalità, e che rivisto oggi risulta invecchiato molto più del libro.
La storia è nota: Carla e Michele vivono con la madre Mariagrazia nella villa di famiglia, ultima proprietà che la donna cerca di salvare dal tracollo che li sta investendo.
Nella villa si aggirano anche Leo, imprenditore senza scrupoli e amante di Mariagrazia, e Lisa, amica di vecchia data di entrambi che ha una relazione con Michele. Quando quest'ultimo scopre da lei che la sorella ha a sua volta una relazione con Leo, prova a ucciderlo senza riuscirvi. La famiglia si ricomporrà nel finale, in occasione di un ballo in maschera.
I primi minuti del film, dove tira un'aria tra fiction Rai (ben fatta) e Io sono l'amore di Luca Guadagnino (fatto meno bene), sembrano confermare le comprensibili diffidenze. E l'idea di contestualizzarlo ai nostri giorni, potrebbe ritorcersi contro la credibilità dell'opera. In realtà però, il regista non fa che riproporre il suo interesse sulle forme di alienazione degli attuali mezzi di comunicazione (il suo precedente Likemeback era incentrato su questo): Carla che vuole fare la youtuber, Michele che prenota i taxi con le app, non fanno che accordarsi al clima del film, al suo distacco.
Il film funziona ad eccezione del testo, perché la sceneggiatura asciuga i dialoghi della versione precedente e impoverisce il romanzo, affidandosi piuttosto alle atmosfere.
Funziona grazie alla direzione degli interpreti, perchè ogni personaggio è a fuoco nel ruolo. Funziona grazie alla scenografia, capace di restituire una tonalità di Moravia ancora plausibile: il film è esteticamente moraviano, visivamente annoiato, non noioso. Stilisticamente preso in prestito, ricorda il piglio di molto cinema contemporaneo: di Guadagnino, come si è detto, di Garrone (nel personaggio di Leo), di Sorrentino (nel finale), di Bertolucci (nella scena del ballo). E anche molto delle atmosfere borghesi di François Ozon.
Non cita però nessuno Leonardo Guerra Seràgnoli, semplicemente si serve del cinema che conosce senza volersi distinguere. Il suo merito è proprio quello di restare sempre distante, soprattutto nei momenti del dramma e in quelli della carne. In una parola, indifferente. Un film minore anche questa sua versione, ma nelle mani dei soliti nomi non sarebbe probabilmente uscito nulla di meglio. Chissà cosa ne avrebbe scritto il Moravia critico cinematografico.
Genere: drammatico
Paese, Anno: Italia/Francia, 2020
Regia: Leonardo Guerra Seràgnoli
Soggetto: Alberto Moravia
Sceneggiatura: Leonardo Guerra Seràgnoli, Alessandro Valenti
Fotografia: Gian Filippo Corticelli
Montaggio: Carlotta Cristiani, Giogiò Franchini
Interpreti: Valeria Bruni Tedeschi, Giovanna Mezzogiorno, Edoardo Pesce, Beatrice Grannò
Musiche: Matteo Franceschini
Produzione: Indiana Production, Nightswim, Le Spectre
Distribuzione: Vision Distribution
Durata: 81'