Unico italiano in concorso, Bonifacio Angius torna proprio al Festival di Locarno, che sette anni fa lo aveva tenuto a battesimo con Perfidia. Sardo, classe ’82, faccia intelligente e poco nota, idee chiare e originali, un vero outsider del nostro cinema.
Angius gira I Giganti con pochi soldi e poco tempo, mostrando senza vergogna l’aria da film fatto in casa (in ogni senso), a tratti quasi amatoriale ma, vuoi per bravura vuoi anche per fortuna, sempre in stato di grazia.
Scritto, diretto e anche interpretato dallo stesso Angius, il film azzecca tutto, a cominciare proprio dal cast: non i soliti noti ma personaggi che, pur derivati dalla nostra tradizione, portano una bella boccata di ossigeno alla solita, e spesso indigesta, gara di recitazione.
Che c’è eccome, perché il film ha una sola location ed è tutto dialoghi, con una matrice teatrale dunque fortissima. Ricorda Regalo di Natale di Pupi Avati, ma con degli sviluppi fin troppo azzardati per il cinema italiano.
Un gruppo di quattro amici, uno dei quali accompagnato dal figlio ventenne, si ritrova in un casolare di campagna. Nessun motivo particolare, sembrano essere lì per un normale week end, che diventerà invece di paura nel giro di qualche ora.
C’è quello separato che non si rassegna a perdere la moglie e la figlia, quello in carriera che cerca solo sesso e cocaina, quello taciturno dall’aria sempre triste: sembrano i soliti caratteri usciti da un film di Gabriele Salvatores (uno di loro sogna di andare a Livorno e imbarcarsi per la Cambogia «perché non c’è niente in Cambogia»), ma passati sotto le mani di Ciprì e Maresco.
Droga, alcol, mal di vivere: chiacchiere tra amici con tono scanzonato, tanto che in sala si ride pure, ma a denti strettissimi perché il tono è grottesco e l’umore sempre più nero. Arrivano anche due donne, ma vengono cacciate subito e nel branco inizia il gioco al massacro. Un tutti contro tutti che in principio è solo a parole, con il più giovane che spinge più degli altri, poi esce una pistola e il gioco precipita davvero.
Angius mette al muro i suoi giganti (titolo un po' ironico e un po' no) senza salvarne nessuno, lasciando spazio a qualche momento improvvisato ma la regia è solidissima: dialoghi asciutti ma fin troppo acuti, non una sola canzone fuori posto e l’impressione costante di un “buona la prima”. C’è anche spazio per un verso di Majakovskij (la devozione del regista per Carmelo Bene) e un momento felliniano (il carro funebre che passa e dalla finestra il grido «Vaffanculo»).
Un film piccolo, diverso, con una precisa identità italiana che resiste nonostante certe soluzioni inconsuete: come il finale tarantiniano sospeso tra Le iene e il western (ma ci sono cinque minuti di troppo, o cinque che mancano).
Potrebbe funzionare bene anche all’estero, dove continuiamo a mandare sempre le stesse cartoline (peraltro non è in dialetto sardo ma i sottotitoli in inglese sono indispensabili anche per noi): peccato abbia mancato il Pardo d’oro, sarebbe stata una bella occasione.
Genere: drammatico
Paese, anno: Italia, 2021
Regia: Bonifacio Angius
Sceneggiatura: Bonifacio Angius, Stefano Deffenu
Montaggio: Bonifacio Angius
Fotografia: Bonifacio Angius
Interpreti: Bonifacio Angius,
Stefano Deffenu, Michele Manca,
Riccardo Bombagi, Stefano Manca,
Francesca Niedda, Noemi Medas, Roberta Passaghe, Mila Angius
Musiche: Luigi Frassetto
Produzione: Il Monello Film
Durata: 80'