Regista e, allo stesso tempo, fan di Britney, la documentarista americana Erin Lee Carr (regista nel 2018 di un episodio della serie Dirty Money e nel 2020 di How to Fix a Drug Scandal) dirige la nuova - rispetto alla precedente e recente Framing Britney Spears - pellicola sulle vicende controverse che hanno per protagonista la celebre popstar.
Ad accompagnare la regista in questo "processo" c’è la giornalista di Rolling Stone, Jenny Eliscu, e una serie di figure amiche che le ruotano intorno. Le testimonianze sono supportate da materiale d’archivio che conferma e, a tratti, confonde; mischiando, ogni volta, le carte in tavola.
Si percepisce fin dall’inizio dove ci conduce il tessuto del documentario: più che della vita e di quello che le gravita attorno, si parla della conservatorship che riguarda Britney ma che, allo stesso tempo, fa luce su un sistema di tutela, quello americano, che più che proteggere, sembra ingabbiare per sempre chi ne viene coinvolto.
E così vediamo intervenire figure conosciute ma allo stesso tempo misteriose e, quasi, confuse: il padre James Spears (centrale nella questione della tutela), l’amico/manager Sam Lufti, l’ex assistente Felicia Culotta e la cornice di fan che portano avanti la causa #freebritney raccogliendo, forse, i sentimenti propri di una vera famiglia.
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Il titolo fa presagire una vera e propria guerra familiare: il padre/tutore contro una donna mai considerata figlia.
Una mamma e moglie che fa fatica a far sentire la sua voce e tirar fuori i suoi sorrisi. Ma è anche, quella del titolo, una guerra contro sé stessa: Britney macchina da soldi contro la sua voglia di felicità . Britney pop star di un mondo che luccica, ma che non illumina realmente la strada da percorrere, contro una donna incapace di gestire le sue fragilità e il suo dolore. Una persona viva che può ancora dimostrare a sé e agli altri di potersi salvare da un un mondo che sembra averla illusa dietro lo specchietto della notorietà e della finta libertà . Questa è la vera guerra che percepiamo fin dal titolo e dalle prime immagini di sorrisi che non durano e che si spengono nel tempo.
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In questa guerra in solitaria non percepiamo la presenza di nessuna figura realmente amica: nessuno protegge Britney da quei media che facilitano la sua carriera ma che la ingabbiano allo stesso tempo, puntando i riflettori sullo sdoppiamento e sull’allontanamento dalla popstar di Baby One More Time, a quella che attraversa aule di tribunali e affronta processi interminabili.
La solitudine e lo sgomento di Britney si percepiscono nello schivare e nell’abbassare lo sguardo di fronte all’obiettivo di quelle telecamere impertinenti che, alla fine, sono le uniche che non la abbandonano mai.
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In questo documentario su Britney ricco di materiale (immagini, filmati d'archivio e documenti del processo) si avverte la mancanza della sua voce: la cantante non urla mai di fronte a tutto ciò che attraversa e che la taglia in due. Al suo posto, urla lo spettatore di fronte ai passaggi in cui le viene privata qualsiasi forma libertà o possibilità di scelta, anche quelle più piccole come scegliere quali alimenti acquistare al supermercato.
Questa è la superficialità che si percepisce nel documentario Britney vs Spears: una pellicola che vuole raccontare la pop star più conosciuta di sempre ma che, in realtà , dice poco di lei e delle fragilità emotive; del suo dolore in questa guerra spietata che non ha le forze per affrontare e per vincere. Si sentono tante voci nel film, eccetto quella di Britney. Allora di fronte a una persona che chiede di essere libera e di fronte a un oggetto di valutazione, più che a un soggetto, la domanda è sempre la stessa: dov’è Britney?Â
Genere: documentario
Paese, anno: USA, 2021
Regia: Erin Lee Carr
Distribuzione: Netflix
Produzione: Story Syndicate
Durata: 93'