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Coming home in the dark (2021): la recensione del road movie thriller diretto da James Ashcroft

27/11/2021 14:00

Rossella Romano

Recensione Film, Festival, Torino Film Festival, Film Drammatico, Film Thriller, Film Nuova Zelanda, TFF39, James Ashcroft, Owen Marshall, Eli Kent,

Coming home in the dark (2021): la recensione del road movie thriller diretto da James Ashcroft

Coming home in the dark racconta di un viaggio di famiglia da incubo, tra incontri fatali e un epilogo del tutto inaspettato

Il road movie di James Ashcroft, basato sul pluripremiato racconto del 1995 di Owen Marshall, apre la sezione Le Stanze di Rol del TFF 39: un thriller che rientra perfettamente nelle caratteristiche di questa sezione del Festival, dedicata al mistery e all'ignoto. 

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Coming home in the dark racconta di un viaggio di famiglia da incubo, tra incontri fatali e un epilogo del tutto inaspettato.

Un padre, Erik Thomson (detto Hoaggie), una madre e moglie, due figli e due malviventi apparentemente (o realmente) incontrati per caso lungo un percorso incontaminato: lo scenario perfetto per aprire stanze lasciate chiuse da tanti, troppi anni, che intaccheranno un presente che deve scontare il passato scomodo.

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Attraverso la notte, veniamo accompagnati in un viaggio, senza troppe spiegazioni nè risposte, dove i dubbi diventano spunti di riflessione e disorientano a ogni tappa.

 

Coming home in the dark non conduce verso una vera e propria casa,  ma riporta verso una dimora detestata, dalla quale ci si è allontanati senza dimenticare. E la casa ha accolto e imprigionato, allo stesso tempo, i due malviventi che incontriamo durante il viaggio: l’incipit, che non viene rivelato subito, rende tutto, pian piano, più chiaro ma non del tutto giustificabile.

 

 

L’efferato killer Mandrake (Daniel Joshua Gillies di The Vampire Diaries), accompagnato dall’impassibile Tubs, si prende tempo e "strada" per disvelare ed eliminare le tracce del suo doloroso passato: e lo fa attraverso un viaggio che si apre nelle atmosfere islandesi e si chiude in un auto che, da mezzo di fuga, diventa una prigione.

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La fotografia, che inizialmente indaga i paesaggi nella loro profondità, diventa scura e misteriosa nella seconda parte del film e ecisamente claustrofobia. A questo elemento si aggiunge la quasi assenza di un accompagnamento musicale, se non attraverso sprazzi di suoni che stridono e ci tengono appesi a una corda che sembra già spezzata dall’inizio. Questo senso di ambiguità sembra una bomba pronta a esplodere da un momento all’altro, ma non fa il rumore previsto.

 

Coming home in the dark è un film ben girato e ben recitato: ci ricorda che il passato non affrontato tornerà sempre a chiedere il conto a un presente, anche quando sembra averlo dimenticato e soffocato; e, soprattutto quando quel passato ha distrutto il futuro di tanti. 

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Un film che non lascia indenne nessuno: la famiglia si disgrega, si è obbligati a indagare un passato in cui non si è realmente carnefici, ci si convince che essere osservatori silenziosi renda meno partecipi e meno colpevoli. Nasce così, nello spettatore come nei protagonisti, un conflitto irrisolto che viene riassunto con le ultime parole della protagonista femminile: «C’è differenza tra fare qualcosa e lasciare che accada?».


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Genere: drammatico, thriller

Paese, anno: Nuova Zelanda, 2021

Regia: James Ashcroft

Sceneggiatura: Eli Kent, James Ashcroft

Soggetto: Owen Marshall

Fotografia: Matt Henley. Montaggio: Annie Collins

Intepreti: Daniel Gillies, Erik Thompson, Miriama McDowell, Matthias Luafutu

Musica: John Gibson

Produzione: Homecoming Productions, New Zealand Film Commission

Durata: 93'

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