Passa in concorso al 39° Torino Film Festival Aloners, debutto dietro la macchina da presa della regista sudcoreana Hong Sung-eun. Un film volutamente glaciale che ha per tema dominante, come suggerisce il titolo, la profonda solitudine che avvolge i protagonisti: figure perse in una società che appare sempre più respingente e alienante.
Jina (Gong Seung-yeon) è una giovane impiegata presso un call center che gestisce le chiamate dei clienti di una carta di credito. Molto efficiente e concentrata sul suo lavoro, Jina non dà confidenza ai colleghi. Solitaria, trascorre le pause pranzo da sola in un ristorante vicino al suo ufficio e si mostra alquanto infastidita nel dover formare Sujin (Jung Da-eun), una ragazza neo assunta che le viene affidata dalla sua superiora.
Anche nella vita privata Jina non ha contatti con nessuno tranne che, saltuariamente, con il padre.
Vive In un grande appartamento dove utilizza un’unica stanza in cui dorme, mangia cibi riscaldati al microonde e passa le ore sempre collegata al cellulare a guardare video, con la televisione perennemente accesa al solo scopo di avere un rumore in sottofondo.
La routinaria quotidianità di Jina, scandita sempre dagli stessi ritmi e dalle medesime azioni, subisce due scosse. La prima nel momento in cui le muore la madre, dalla quale, tuttavia, continua a ricevere misteriose chiamate sul cellulare. Successivamente a scuotere la giovane sarà il decesso di un giovane vicino di casa, che la ragazza incrocia sul pianerottolo intento a fumare ma che scopre essere morto almeno una settimana prima del loro primo incontro in maniera piuttosto grottesca e macabra, cioè schiacciato da una enorme pila di riviste pornografiche.
Sono proprio questi due episodi a rappresentare la chiave di lettura del film. All’inizio si fa fatica a inquadrare esattamente il personaggio di Jina. Il suo ricevere telefonate dalla madre morta o scambiare qualche battuta con una persona già defunta ci induce a pensare che, in realtà, sia ella stessa un fantasma, fornendo così al film una certa aura di mistero.
Al contrario Jina è viva e passa la sua vita esattamente come Hong Sung-eun, regista e sceneggiatrice, ce la presenta. Ma, in realtà, è come se morta lo fosse davvero.
In una società spersonalizzante come quella che ci viene mostrata, Jina passa attraverso la folla, tra i colleghi di lavoro, al ristorante come se fosse invisibile agli occhi degli altri. Anche con il padre vedovo che ogni tanto sente al telefono e che spia con una telecamera nascosta nella casa in cui il genitore vive, ha un rapporto distaccato, indifferente. Una condizione di isolamento che la ragazza volutamente ricerca.
Immergendosi nella visione dei filmati sul cellulare, lavorando in una piccolissima postazione isolata dagli altri colleghi, alienandosi nella solitudine casalinga, è come se Jina, di fatto, fosse un fantasma tra i fantasmi. Ciò lo percepiamo soprattutto nel bel finale. Nel momento in cui, mediante minimi particolari capiamo come la giovane si renda conto di come questo suo modo di essere l’abbia portata verso una condizione di non vita.
Aloners si pone senza dubbio nel solco della tradizione del cinema coreano, dove viene lanciata una critica feroce a una società in cui i rapporti personali vengono meno. In un mondo in cui domina l’egoismo e l’indifferenza e dove tutto viene ricondotto a una mera corsa al profitto. Emblematico il fatto che Jina debba rispondere alle richieste dei clienti di carte di credito, così come è significativo che il suo vicino di casa soccomba investito da una cascata di riviste porno, dietro cui si cela la completa mancanza di affetti e relazioni umane.
Un paese che non riesce più a concepire una qualsiasi forma di socialità e dove ciascuno è prigioniero e isolato nella propria gabbia. In cui chi vorrebbe utilizzare una macchina del tempo per tornare a un tempo dove ancora c’era il desiderio e la gioia di riunirsi e magari esultare insieme, anche solo per una partita di calcio, viene considerato soltanto un malato di mente. Anche se c’è chi, come la giovane apprendista Sujin, vorrebbe poter conoscere quell’epoca che, per questioni anagrafiche, è preclusa.
Decisamente un bell’esordio quello di Hong Sung-eun, nuova leva di quel cinema coreano che da anni, ormai, fa parlare di sè a livello mondiale.
Genere: drammatico
Paese, anno: Corea del Sud, 2021
Regia: Hong Seong-eun
Sceneggiatura: Hong Seong-eun
Montaggio: Hong Seong-eun
Fotografia: Choi Young-Ki
Interpreti: Jung Da-Eun, Seo Hyun-Woo, Park Jeong-Hak, Gong Seung-Yeon, Kim Mo-Beom, Kim Hannah
Musica: Lim Min-Ju. SUONO: Doluk
Produzione: Korean Film Council, KAFA
Distribuzione: Fandango
Durata: 91'