I fratelli De Filippo (2021), la recensione: Sergio Rubini racconta il Teatro attraverso la vita di Peppino, Titina e Eduardo

Il cinema di Sergio Rubini (Il viaggio della sposa, L'uomo nero) è celebre per la sua intensità e profondità, ma anche perchè ogni sua pellicola diventa una sorta d’indagine introspettiva e storica sui personaggi che ne sono protagonisti.

Non fa eccezione I fratelli De Filippo, opera intensa che parte dalla storia di una famiglia per parlare di arte. Il regista pugliese arriva a scandagliare le radici del teatro attraverso la vicenda dei De Filippo:  Peppino, Titina ed Eduardo. 

Da quel celebre padre non ereditano il nome, ma il talento per la recitazione e la drammaturgia: il film di Sergio Rubini è la storia della loro vita, destinata all'immortalità.

Dopo che Mario Martone ha raccontanto Scarpetta nel suo Qui rido io, con I fratelli De Filippo Rubini realizza un ritratto intimo e più "familiare" di questi protagonisti dell'arte teatrale e cinematografica italiana.

Il regista pugliese parte dall’infanzia per raccontare tre giovani costretti a crescere in fretta, legati da un profondo affetto e da un talento smisurato. Rubini non indugia sulla capacità dei singoli, non ne esalta troppo il successo - che i De Filippo siano “il teatro” lo si sa già - ma si concentra sui sacrifici che questi giovani hanno dovuto fare per affermarsi. 

Il Teatro, con la T maiuscola, ha un ruolo salvifico in questa storia, per gli attori quanto per la platea. I fratelli De Filippo è un omaggio a Peppino, Titina ed Eduardo ma anche un monito a ripartire dai palcoscenici, riferimenti culturali e esistenziali quando ogni altro appiglio sembra mancare.