Secondo film italiano in concorso alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia è Monica, di Andrea Pallaoro, un delicato racconto che strizza l’occhio alla cinematografia indie americana, incentrato su una meravigliosa interprete femminile, Trace Lysette.
Monica è il secondo capitolo della trilogia sulle “dinamiche dell’abbandono e delle sue conseguenze”, dopo il discusso Hannah, presentato a Venezia nel 2017 la cui protagonista, Charlotte Rampling, vinse la Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile. Pallaoro, di casa a Venezia, ritorna alla mostra ancora una volta per mezzo di un controverso personaggio femminile e della sua personale storia, quella di una donna alle prese con i fantasmi della propria infanzia che ritorna nella casa in cui è cresciuta, e si trova a dover riconquistare un rapporto con sua madre.
Pur rappresentando l’Italia, Monica è a tutti gli effetti un film "americano", perché la storia del regista, così come quella del suo collega Luca Guadagnino, è una storia che professionalmente dalla tradizione statunitense trae molta linfa vitale.
Siamo a Los Angeles. Monica riceve una telefonata dalla cognata che le comunica che sua madre (Patricia Clarkson) ha pochi mesi di vita.
Monica, pur riluttante, decide di tornare a casa per vederla un’ultima volta. Ma nessuno sembra riconoscerla: la stessa madre, diffidente, non capisce perché quella donna bellissima dai capelli rossi la sta accudendo accanto alle persone care che lo hanno fatto fino ad ora. Chi è Monica, e perché nessuno sembra riconoscerla?
Così, per deduzione, il regista ci fa immaginare un passato duro e doloroso per un ragazzino attraverso uno sguardo vicinissimo e quasi sempre fisso sui dettagli della bellissima fisicità della sua protagonista, il suo corpo conquistato attraverso mille fatiche che intuiamo attraverso brandelli di dialoghi telefonici.
Pallaoro esaspera il racconto di lentezza, dilatando i tempi a dismisura per portare lo spettatore in punta di piedi e in un silenzio sacrale nel passato di Monica piano piano, senza permetterci mai di guardarla davvero negli occhi. Il film è un lavoro di sottrazione: i dialoghi sono scarni e mai diretti, i close-up molteplici e spesso su dettagli fisici e mai sui volti; lo spettatore sembra spiare attraverso delle tende sottilissime la vita di una donna che deve mettere da parte un passato doloroso e ricucire i rapporti familiari.
C’è molto cinema d’autore in questa pellicola che sperimenta un formato ‘quadrotto’ 1.2:1 con cui il regista vorrebbe dar risalto ai protagonisti rispetto al contesto della scena e allo stesso tempo far percepire nei dialoghi due soggetti come se fossero in un rapporto di coesione, quasi stretti in una morsa.
Monica è il racconto della riconquista di uno spazio legittimo, quello della propria infanzia, e lentamente quello di un legame, quello madre-figlia, reciso troppo presto in una terra americana piena di contraddizioni.
Con una cura meticolosa per i dettagli e attraverso una scelta delicata degli elementi visivi, tutto il film è un atto d’amore del regista verso la sua protagonista. Il racconto è un lento ritorno del figliol prodigo a occupare il posto che gli spetta di diritto in una casa troppo polverosa e piena di ferite. Il percorso di ritorno è folle, disperato. Lo facciamo con lei sul sedile di una spider, ascoltiamo Monica, perennemente al telefono, la sentiamo tirare fuori tutte le sue ansie e le sue inquietudini.
Il tempo filmico è esasperante, ci conduce per mano verso un finale in cui non c’è spazio per giudizi, per rancori. Tutto lentamente si scioglie, goccia via come lacrime dal viso e restano solo i corpi, cambiati, di persone che sono riuscite con imbarazzo a ritrovare la propria intimità, a stringersi nuovamente in un abbraccio.
Al suo terzo lavoro, Andrea Pallaoro continua quel percorso autoriale e raffinato che lo colloca lontano da soluzioni cinematografiche confortevoli e esprime, in maniera non pleonastica, una visione narrativa che presuppone interazione con lo spettatore, una ricerca di collaborazione al racconto; fugge via da qualsiasi didascalia e esprime la forza dirompente del non detto.
Genere: drammatico
Regia: Andrea Pallaoro
Sceneggiatura: Andrea Pallaoro, Orlando Tirado
Fotografia: Katelin Arizmendi
Montaggio: Paola Freddi
Paese, anno: Stati Uniti/Italia, 2022
Interpreti: Adriana Barraza, Emily Browning, Trace Lysette, Ali Amine, Angel Kerns, Bobby Easley, Graham Caldwell, Jean Zarzour, Joshua Close, Karen Olchovy, Mark J Clifford, Mark Mench, Patricia Clarkson, Ruby James Fraser, Vladimir John Perez
Casa di Produzione: Varient Entertainment, Fenix Entertainment, Varient, Solo Five Productions, Melograno Films, Propaganda Italia, Artistic Fortune Entertainment, Polifemo
Distribuzione: I Wonder Pictures
Durata: 106’