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Dahmer - Mostro (2022), recensione: Ryan Murphy dirige Evan Peters nella serie Netflix sul serial killer Jeffr

04/10/2022 14:00

Samantha Ruboni

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Dahmer - Mostro (2022), recensione: Ryan Murphy dirige Evan Peters nella serie Netflix sul serial killer Jeffrey Dahmer

Dahmer - Mostro, la storia di Jeffrey Dahmer, è la serie tv più vista in questo momento su Netflix. Ma perchè piace così tanto?

Dahmer - Mostro, la storia di Jeffrey Dahmer, è la serie tv più vista in questo momento su Netflix. Ma perchè piace così tanto?

C’è una sorta di magia che aleggia attorno a Ryan Murphy e Evan Peters, quando annunciano di lavorare insieme. E la stessa magia ha continuato ad aleggiare quando sono comparsi i primi rumors sulla nuova serie Netflix, Dahmer - Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer.

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Diciamolo: se c’era qualcuno che poteva interpretare il cannibale di Milwaukee quello era proprio Peters. Anche perché, sempre per Murphy, l'attore aveva interpretato Tate Langton nella prima stagione di American Horror Story, Murder House; James Patrick nella quinta stagione di AHS, Hotel; Kai Anderson nella settima stagione di AHS, Cult.

 

Peters, inoltre, ha vinto un Emmy per il suo ruolo in Omicidio a Easttown, sempre per rimanere in tema crime. E ora la sua interpretazione di Dahmer potrebbe portarlo all'ennesima nomina per l’Emmy, se non alla sua vittoria (o, per lo meno, è quello che speriamo!).

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Dahmer non è la solita serie true crime

La nuova serie di Murphy per Netflix racconta la storia del serial killer cannibale Jeffrey Dahmer che fu responsabile dell’uccisione di 17 ragazzi tra 1978 e 1991. Ma Dahmer non è la solita serie true crime, incentrata esclusivamente sulle gesta del serial killer: ciò che fa brillare lo show è come vengono anche raccontate le vite di chi si trova attorno all’assassino.

Non solo i genitori, ma anche i vicini di casa e - ovviamente - le vittime. Significativa in questo senso è la puntata numero 6, intitolata Ridotto al silenzio: un vero punto di svolta, che permette alla serie di diventare qualcosa di più, di elevarsi in qualità. Se le prime puntate sono incentrare sulla brutalità degli omicidi di un ragazzo che, apparentemente, sembra uno come tutti gli altri, dall'episodio 6 in poi il focus si sposta a tutto ciò che circonda il killer. E si continua ben oltre la sua cattura, analizzando il segno da lui lasciato su una comunità e sugli esseri umani che gli stavano - volenti o nolenti - attorno.

Il segno di Ryan Murphy

Ovviamente, Murphy usa Dahmer per parlare anche di ben altro. Ricordiamoci che il killer cercava le sue vittime tra la comunità gay e black di Milwaukee: è inevitabile che, tra le tematiche principali, ci siano anche il razzismo e l’omofobia. Così Dahmer, pian piano, diventa una serie di denuncia contro la polizia (bianca) che non ha mai ascoltato le chiamate d’aiuto della comunità (nera) che viveva intorno a Jeffrey. In particolar modo della vicina Glenda.

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Il personaggio di Glenda è iconico: una donna che combatte con tutte le sue forze per far sentire la propria voce e denunciare i crimini che sente accadere al di là del muro. E nonostante tutto, nonostante la paura, Glenda non se ne andrà mai dalla sua casa e sarà l’unica a tenere testa a Jeffrey. 

I corpi che Jeffrey smembra appartengono a persone che hanno lottato tutta la vita, neri e omosessuali: sembra volerci ricordare questo Murphy, in ogni sequenza. Dahmer non è solo una serie tv che parla di un serial killer: racconta un’epoca, ma ci dice molto anche dei tempi che stiamo vivendo oggi.

Il successo di Dahmer su Netflix
La serie di Murphy su Netflix sta totalizzando numeri che solo Stranger Things e Squid Games sono riusciti a raggiungere. E con merito: è di certo uno dei migliori show arrivati sulla piattaforma streaming.

 

Inutile dire che Evan Peters è totalmente in parte e una delle scene che verrà ricordata con più brividi è quella in cui si mette a mangiare una bistecca di carne (umana? Per lo meno è quello che ci fa credere).

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Dahmer è una serie crime che colma un po’ il vuoto lasciato dal Mindhunter di David Fincher, ancora fermo e dal destino ancora incerto, se non addirittura ormai segnato.

 

Una serie per stomaci forti, certamente, ma non per questo priva di profondità: ancora una volta c'è da sbizzarrirsi ad analizzare il cervello umano e ciò che può essere in grado di fare. 

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