Bardo (o falsa crónica de unas cuantas verdades) è l’ultimo lavoro di Alejandro González Iñárritu, presentato in concorso alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia che sarà disponibile al cinema e su Netflix a fine anno.
A sette anni da The Revenant, Iñárritu torna al cinema firmando il suo personalissimo 8½, un film visionario e strabordante che ha diviso la critica e acceso il dibattito.
Il film racconta la storia di un famoso giornalista e documentarista messicano, Silverio (Daniel Gimenez Cacho), che vive a Los Angeles.
L’uomo, dopo aver ricevuto un prestigioso riconoscimento internazionale, è costretto a tornare nel suo paese natale, ignaro che questo semplice viaggio lo spingerà verso una profonda crisi esistenziale. Silverio lotta per trovare risposte a domande universali eppure intime, riguardanti la propria identità, il successo, la fragilità della vita, la storia del Messico e i profondi legami sentimentali che condivide con la moglie e i figli.
Come in tutte le storie che si rispettino, anche questa di Iñárritu ha un inizio, una fine e, secondo uno schema narrativo classico, un andamento circolare: le prime scene - dove protagonista è un acquario che si rompe in un tram - si ricongiungono ai pesci delle scene finali, quando, sul ritornare delle luci in sala, anche lo spettatore inizia ad avere un’epifania di senso. Forse. Perché Bardo non è un film semplice e richiede fedeltà e uno sforzo da parte del pubblico.
Come molti registi talentuosi e dalla lucida follia (Fellini già citato, ma le similitudini con Paolo Sorrentino sono tante) anche per Iñárritu è evidentemente giunto il tempo di fare i conti con la propria storia personale: per questo motivo il regista messicano dirige un film da evidenti riferimenti autobiografici in cui depositare il cuore della sua vicenda, attraverso l’unico linguaggio possibile a un regista della sua pasta, quello onirico, barocco, claustrofobico.
Un film straripante, pieno di tutti quei riferimenti metatestuali, infratestuali, autocitazionismi e intellettualismi che fanno storcere il naso a molti. Respingente per quanto magnificente, Bardo oscilla tra l’autorialità e il pop sfrenato.
È indubbio che anche i fan più sfegatati del regista avrebbero apprezzato una piccola sfrondata di queste tre ore bulimiche di pellicola, in cui sono tanti gli eccessi e i momenti di lentezza; ma ci sono anche scene di una bellezza pittorica, in cui la sapienza nel gestire la macchina da presa è evidente. Scene che rimarranno nella memoria dello spettatore, come quella iniziale, come il neonato reinserito nel ventre della madre, o la scena del ballo a una festa. Scene destinate a essere immortali, perché Bardo è un film che, nel bene o nel male, ti rimane negli occhi.
Si può essere anche d’accordo sul fatto che il cinema di Iñárritu abbia sempre qualcosina di troppo che infastidisce, come se fosse esercizio stilistico che si prende gioco in più momenti dello spettatore. Ma se Bardo ha un pregio è forse quello di essere il film più autentico della sua filmografia, nonostante la grande finzione, dichiarata sin dal titolo.
Chi conosce la sua storia personale non può che ritrovarlo in ogni frame della pellicola, emozionandosi quando tocca, con ironia, alcune sue tragedie intime; chi ne ammira la sapienza non può che rimanere estasiato da alcuni passaggi girati alla perfezione, illuminati magnificamente dalla fotografia di Darius Khondji.
Bardo è un film di ritorno, in un luogo, il Messico, dove esistono cuore e radici; di un non luogo, una dimensione onirica in cui il regista si sente imprigionato, come in un’ipnotica impasse, una dimensione in cui ha ceduto volentieri al canto delle sirene e si è definito in una nuova identità, tradendo le sue origini.
Tutti gli elementi filmici concorrono a realizzare un’opera cinematografica pura che, seppur eccessivamente dilatata, è coerente con la personalità del regista.
Quello che ci resta da capire è come un’opera del genere possa essere accolta anche dal pubblico delle piattaforme, perché questa pellicola è un’esperienza immersiva e totalizzante, che non può essere cannibalizzata ma richiede tre ore di visione attenta. Richiede che non si cerchi un senso nella narrazione, ma che si attenda pazientemente il finale, e forse qualche ora dopo, e forse qualche lettura sulla storia del regista a supporto. Solo così il film sprigiona tutta la sua commovente e bellissima essenza.
Genere: commedia, drammatico
Titolo originale: Bardo (o falsa crónica de unas cuantas verdades)
Paese, anno: Messico, 2022
Regia: Alejandro Gonzalez Iñarritu
Sceneggiatura: Alejandro Gonzalez Iñarritu
Fotografia: Darius Khondji
Interpreti: Andrés Almeida, Daniel Giménez Cacho, Griselda Siciliani, Mar Carrera, Omar Leyva, Ximena Lamadrid
Colonna sonora: Bryce Dessner
Produzione: Estudios Churubusco
Durata: 180'