Benjamin Barker è tornato a Londra e nel suo sguardo si leggono i segni del dolore e della perdita, anni di sofferenza depositatisi interamente attorno agli occhi. Ma ora il suo nome è Sweeney Todd, poiché dalle ceneri di Benjamin Barker è sorto un uomo nuovo che nella mente ha un unico obiettivo: farla pagare a chi, in passato, gli ha sottratto senza ragione la felicità, privandolo per effimera gelosia della moglie e della figlia; la sua bottega di barbiere in Fleet Street, con la complicità dell’ambigua e fascinosa Mrs. Lovett, è prossima alla riapertura… Lasciatevi sedurre dal nero mondo di Tim Burton, dove il demoniaco barbiere di Fleet Street, il volto scavato dagli anni e la gola soffocata dal rancore, torna dopo il lungo esilio per lavare i ferri del mestiere nel sangue di chi gli ha rubato la vita, fino ad estendere la sua missione purificatrice a un’intera città meritevole di punizione. Ma chi imbocca la via della violenza, sa bene che presto o tardi dovrà pagarne il prezzo. Dopo due splendide fiabe variopinte, l’estroso affabulatore di Burbank indossa nuovamente gli oscuri abiti a lui familiari nel suo film più cupo e drammatico: l’amore muta in orrore da grand guignol, mentre la sola tonalità cromatica ad emergere nel plumbeo grigiore di Londra – spenta e morente come i suoi stessi colori – è il rosso vivo del sangue. Eppure Tim Burton sembra riporre una tenue speranza nei giovani amanti (la nuova generazione, il futuro), e soprattutto non risparmia un delizioso humor macabro che emerge, in gran parte, nelle esibizioni musicali; mai come in questo caso e in misura maggiore rispetto ai suoi capolavori animati, Burton ha avuto la possibilità di giocare con le regole del musical; il materiale a disposizione gli permette di costruire una messa in scena spesso straniante, con musiche e parole che stridono con il contesto e con il giudizio morale dello spettatore (comunque complice dello spietato Sweeney e delle sue malefatte). Ne risultano alcuni momenti memorabili, in un film molto personale e controllato: meno fantasmagorie visive, approccio più minimalista – per quanto possibile, conoscendo l’autore – ma sempre tante idee. E se la sceneggiatura di John Logan appare un poco affrettata nel finale, quando perde di vista un paio di personaggi, l’inimitabile tocco burtoniano, la confezione accurata e gli interpreti strepitosi (su tutti l’immenso e sofferente Johnny Depp, oltre alla bravissima Helena Bonham Carter) sanno davvero trasportare in un mondo “altro”, tanto malsano e disperato quanto seducente. Da vedere senza remore, anche se potrebbe non piacere a tutti.