Avvocato cinico e spietato (ci viene presentato mentre vince una causa per un'associazione, a ovvio discapito di una coppia di poveretti: nel caso non l'avessimo capito), cioè l'Henry del titolo, un giorno esce a prendere le sigarette e viene colpito da una pallottola di passaggio. Cade in coma, ma poi comincia a riprendersi, e inizierà ad affrontare il lento e difficile percorso della riabilitazione, circondato dalle amorevoli cure del personale di una clinica: determinante ai fini del recupero sarà un fisioterapeuta di colore che (bisognerà pure onorare certi stereotipi!) scopriremo essere simpatico e saggio. Si scoprirà , nel mentre, che un proiettile entrato nel cranio del poveretto, ha pressoché fatto tabula rasa di tutti i suoi ricordi, della sua educazione, del suo modo di vedere la vita in pratica: una sorta di regressione all'età dell'innocenza (che comprendiamo grazie anche al raffinato cambio di pettinatura del protagonista), che crea chiari problemi di adattamento allo stile di vita adottato prima. Henry ne approfitterà per dare una svolta significativa alla sua vita, rinnegando ciò che era, riallacciando i rapporti con moglie e figlia. È bene mettere subito le mani avanti: se il film è un flop, buona parte delle cause possono essere ricercate nello script, che è prevedibile, stiracchiato, e che si concede senza particolari problemi a stereotipi e sdolcinatezze. Mike Nichols - autore dalla carriera lunga e altalenante – fa sfoggio di mestiere nella confezione gradevole e nella direzione degli attori (soprattutto Harrison Ford, inebetito e trascinato dagli eventi); ma dovrebbe aver capito che per rendere una scena commovente non basta dilatarle all'inverosimile e sottolinearle ulteriormente a colpi di colonna sonora (un irriconoscibile Hans Zimmer).