Il delitto perfetto del titolo è quello architettato dal protagonista, un ex-giocatore di tennis squattrinato (Ray Milland); la vittima è la ricca moglie (Grace Kelly), che lo tradisce con uno scrittore (Robert Cummings) e che potrebbe abbandonarlo da un momento all'altro. L'eventuale morte lo porterebbe a ereditare tutto il di lei patrimonio e a vivere senza avere più l'assillo del denaro. Quindi, coinvolto un vecchio compagno universitario nella vicenda, lo ricatta in modo tale da costringerlo ad uccidere la moglie, strangolandola; ma il piano andrà male, e sarà la moglie, difendendosi, a uccidere il suo carnefice. Messo di fronte al fallimento del suo delitto perfetto (che peraltro gli era stato profeticamente annunciato dall'amante della moglie, uno scrittore di gialli), riuscirà comunque a far incriminare la moglie per omicidio, facendola condannare. Questo finché l'ispettore che indaga sul caso non comincia a sospettare proprio di lui. Pur non essendo uno degli Hitchcock migliori in assoluto, Il delitto perfetto è un film dalla diegesi notevole, perfettamente inserito all'interno della filmografia del regista inglese. Uno dei motivi di maggiore interesse risiede nella trama, adattata peraltro dall'opera teatrale di Frederick Knott: vero e proprio congegno curato alla perfezione; puzzle che esalta un meccanismo peculiare di tutto il cinema hitchcockiano quale la suspence (dovuta al fatto che lo spettatore ne sa di più dei personaggi in scena, non è quindi tanto terrorizzato dal cosa accadrà , ma dal quando, dal come e dall'agire dei personaggi stessi). La scelta di non snaturare l'opera rispetto alla sua controparte teatrale, realizzando quindi tutto il film in interni, permise a Hitchcock di esaltare e sottolineare l'interpretazione degli attori, l'illuminazione, il ritmo, i dialoghi. Una scelta che finisce per essere uno dei limiti (ben pochi, a dire il vero) più tangibili del tutto: il lieve calo di ritmo nel'ultima parte può anche essere attribuibile a questo, alla voglia di spiegare che porta ad un epilogo fin troppo ridondante e verboso. Sospetti di eccessivo compiacimento, che però sono oscurati dalla bellezza di cui risplende il film nel suo complesso: ricco di intuizioni mirabili, di alcune sequenze più celebri del cinema hitchcockiano (su tutte: la scena con le forbici) e con un trio d'attori strepitoso.