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30 anni quasi 21

26/06/2008 10:00

Vito Sugameli

Recensione Film,

30 anni quasi 21

Si conclude così la trilogia cine-poetica di Emiliano Cribari...

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Si conclude così la trilogia cine-poetica di Emiliano Cribari. 30 anni quasi 21 non rappresenta forse la conclusione perfetta di un pensiero extra cinematografico volto a consolidare le fondamenta artistiche del suo creatore, tuttavia è un tassello importante atto a comprendere le intenzioni del regista e della produzione indipendente “Le cose che so di me”. Lorenzo è un trentenne complessato e inaridito, che pratica il tema dell'autocommiserazione poiché non riesce a tradurre le sue emozioni in progetti di successo. Prima poeta, poi regista e infine commesso: la sua vita è un continuo allontanamento verso l'isola che non c'è. Più l'età avanza e più si sente fuori luogo. Un piccolo, tenero, folle e spaesato artista di quartiere, che trova l'illuminazione grazie a suo nonno, il quale non ha mai bevuto vino e non ha mai veduto il mare.


Sembrerebbe l'epilogo più adatto a giustificare, e in seno capire, le ragioni di un cinema complesso come quello del regista fiorentino. Il risultato, però, lascia indifferenti: un ritmo scadenzato unito ad un concept narrativo privo di legami universali rende il gioco poco piacevole. Si arriva dunque alla considerazione finale che 30 anni quasi 21 rappresenti poco più di un'autobiografia che, con tutta probabilità, ha già detto in passato quello che di importante aveva da dire. Lorenzo è interpretato da Alessio Venturini, attore teatrale che già ha dato dimostrazione della sua bravura nei brevi ma incisivi cammei in Tuttotorna e Via Varsavia. Cribari adotta un'ironia a tratti universale (vedi scena del cocco), quasi slapstick con gesti ed espressioni che esulano il significato delle parole stesse. Non mancano scenette divertenti inframmezzate da monologhi esistenziali: manifesti di una categoria, quella del trentenne insoddisfatto, che non accenna all'intraprendenza. D'altra parte il regista (nonché sceneggiatore e produttore) è coerente con se stesso quando decide di affidare a Lorenzo l'arduo compito di rappresentare il trentenne medio in un progetto dalla natura dichiaratamente autobiografica. Il leit motiv continua ad essere l'isolamento, l'alienazione. Per questa ragione la dedica finale a Francesco Nuti deve essere intesa più come una forma di rispetto verso quel tipo di cinema 'silente' piuttosto che un motivo di paragone.


I personaggi creati da Cribari faticano a rapportarsi con gli altri, ad essere ciò che sono in virtù di ciò che vorrebbero essere. Il loro è uno status dormiente che li allontana dalla realtà... ciascuno di essi è così costretto a crearsi un mondo immaginario, dove persone e parole si incastrano alla perfezione. Il lieto fine arriva però quasi sempre: che sia una torta in una giostra o un calcio dato al pallone. E alla fine basta poco per rendersi conto di quanto sia facile trovare piccoli sprazzi di felicità, e, non meno importante, ritrovare se stessi.


L'idea c'è, peccato non sia in grado di farsi valere.


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