Opera seconda di un autore molto apprezzato in patria ma praticamente sconosciuto fuori dai confini francesi, Big City si rifà grosso modo (anche se con modalità e forme diverse) a Piccoli Gangsters di Alan Parker, musical datato 1976 dove protagonisti erano dei ragazzini che si facevano la guerra a forza di torte in faccia e bignè alla crema al posto di pistole e mitragliette. L’idea di Djamel Bensalah è quella di ipotizzare un attacco da parte degli indiani ad un piccolo villaggio situato nel Far West, dopo il quale (quasi) tutta la popolazione è data per dispersa, tranne coloro che non hanno superato i dodici anni e che per la loro piccola età non sono stati arruolati per respingere l’assalto pellerossa. Unici maggiorenni superstiti sono l’ubriacone e lo “scemo” del villaggio. Dopo un iniziale quanto ovvia fase anarchica, i piccoli decidono di organizzarsi in modo tale che ognuno debba ricoprire il ruolo dei loro genitori, ereditandone in questa maniera vizi, virtù e ambizioni. Bensalah incornicia il tutto in una forma a metà tra il musical e la favola, trovandosi a dirigere dei piccoli interpreti che dimostrano di saperci fare davanti alla macchina da presa: convincenti, sagaci e perfetti nei panni degli adulti che tanto hanno avuto modo di osservare. Dimostra di saperci fare anche Bensalah, a suo agio nel raccontare una storia surreale eppure attuale, inserendoci elementi che da secoli appartengono al lato oscuro del genere umano, Ku Klux Klan, xenofobia e sete di potere che porta a minare l’apparente equilibrio raggiunto dalla nuova comunità. Il film è pervaso da un misto di comicità e tenerezza che ben si adatta ai luoghi e alle situazioni rappresentate, mentre quando si cerca di spingere verso il tono moralizzatore non sempre si ha la sensazione di godere appieno del messaggio veicolato. Le idee ci sono e vengono anche sviluppate con coerenza e passione, forse sarebbe bastato togliere un po’ di minuti alla pellicola per farla apprezzare in pieno e non renderla, soprattutto verso la fine, eccessivamente carica di scene superflue. Strappano il sorriso molti spunti che Bensalah dispensa a più riprese, come la scena in cui tutto si ferma all’arrivo della bimba più bella ed ambita, senza dimenticare i quadretti esilaranti della prostituta che non perde la sua innocenza infantile e i fratellini Jefferson e Indipendance che dissertano sull’eguaglianza e sul rapporto fra bianchi e neri immersi in un lavaggio degno delle migliori pellicole western. Un film che i ragazzi non faranno fatica ad apprezzare e che riuscirà anche a smuovere qualcosina a chi ha già molte primavere alle sue spalle senza avere alcuna pretesa di dare chissà quale messaggio, bensì di divertire e fare sorridere (e di questi tempi è diventata impresa assai ardua).