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Eldorado Road

08/09/2008 11:00

Silvia Badon

Recensione Film,

Eldorado Road

Dal titolo del film di Bouli Lanners, ci si aspetterebbe uno di quei road movie all’americana, percorrendo le strade sconfinate che attraversano il paese, la mu

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Dal titolo del film di Bouli Lanners, ci si aspetterebbe uno di quei road movie all’americana, percorrendo le strade sconfinate che attraversano il paese, la musica che parla di libertà e il paesaggio che scorre fuori dal finestrino. Probabilmente Lanners si è lasciato ispirare da tale genere, ma nel suo film ritroviamo solo le strade del Belgio piovoso e grigio; a richiamare quell’America lontana c’è solo la musica hippy e una Chevrolet del ’79.


Yvan (Bouli Lanners) è un rivenditore d’auto che vive in una casa dispersa nella campagna belga, Elie (Fabrice Adde) un ragazzo errante e drogato: due uomini e la loro solitudine si incontrano in modo improbabile e si accompagneranno per un brevissimo viaggio. Una sera Yvan scopre un ladro in casa sua; un ladro maldestro e inesperto che fa rumore e che, una volta scoperto, si rifugia sotto il letto come un bambino. L’uomo si impietosisce davanti alla disperazione del ragazzo e si propone di accompagnarlo a casa dai genitori, vicino al confine francese. Comincia così il loro viaggio attraverso il Belgio. Da qui anche il film si sviluppa su due binari, come due anime, che rendono questa seconda prova dell’attore-regista belga molto originale. Da una parte ci sono tutte le caratteristiche (e gli stereotipi) del road movie, come la musica, gli incontri stravaganti, i piccoli incidenti all’auto; dall’altra c’è la scelta di ambientare un film del genere in un paese dove il viaggio più lungo per attraversarlo non dura più di un paio d’ore.


Allora ci si accorge che il paesaggio è il terzo vero compagno di Yvan e Elie, il loro retroterra e l’unico vero elemento di appartenenza reciproca. Siamo ben lontani dalla varietà della terra americana, la macchina da presa si sofferma su un paesaggio monocromo di cui si riesce quasi a sentire l’umidità e l’odore di terra bagnata. Il viaggio dei due protagonisti si snoda sotto i nostri occhi con un dolce, non sempre equilibrato, contrasto tra spazi musicali di grande respiro, con canzoni anni ’60, e lunghi momenti di silenzio, con rare battute di dialogo, che ricordano un certo cinema francese attuale (i fratelli Dardenne), ma che in certi momenti appesantiscono lo scorrimento della storia. Il regista ci riserva anche momenti di grande intensità e commozione ma il silenzio ritornerà prepotente nel finale, non solo per lo spettatore ma anche per i due bizzarri viaggiatori. Degna di nota è la colonna sonora, opera di Renaud Mayeur, An Pierlé e Koen Gisen, con brani originali e con alcune canzoni dei Milkshakes e di Jesse Sykes.


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