L’opera prima di Guillermo Arriaga è un film sui sentimenti, forti e primordiali, che giocano con la vita della gente e ritornano a galla in un ciclo inaspettato. Sentimenti che bruciano, come la pianura desolata del titolo. Desolata, ma pervasa di un amore che trasmette vita nuova, che vince tutto, anche la morte. Un camper brucia nel deserto. Due persone vi muoiono dentro e si scoprono collegate per vie traverse a vari personaggi: una cameriera angosciata, una bambina che vede suo padre precipitare dall’aereo di famiglia, due adolescenti al loro primo amore. La trama si scioglie sotto i nostri occhi secondo lo stile narrativo che abbiamo imparato ad amare nelle precedenti sceneggiature del regista, da Babel a 21 Grammi. Quattro storie, apparentemente scollegate, risultano invece essere legate da un inesplicabile destino comune, che raggiunge solo nella parte finale del film il suo pieno compimento. E’ la storia di una saga familiare, ma completamente rivisitata, vista attraverso il filtro del tempo e del dolore causato dal fato ineluttabile. Inserite in piani temporali separati e concatenati, due donne vivono cercando di trovare il loro posto nel mondo. Sylvia conduce una vita spenta e trascinata, gestisce un lussuoso ristorante sull’oceano, ma è consumata da un dolore sottile e continuo. L’altra, Gina, è una donna sposata e madre di quattro figli, reduce da un’operazione per cancro al seno; prosciugata dalla malattia, privata della sua sicurezza, avverte il logoramento del rapporto col marito, sempre più lontano da lei. Con speranza e fragilità, trova conforto e fiducia nell’amore di un uomo diverso da lei, di differente estrazione sociale; ambienti e famiglie, estranei fra loro, non usciranno indenni dal congiungimento dei due amanti. Le due donne si troveranno legate da un filo, che le unisce nel ciclico avvicendarsi dell’amore, in tutte le sue sfaccettature. Attorno a loro si muovono personaggi che all’inizio sembrano non appartenersi, ma che si scopre invece essere tutti parte di un unico disegno, più grande, che analizza cause ed effetti di quel che il sentimento dell’amore può dare e togliere. C’è l’amore dei genitori verso i figli, c’è l’amore totale e disperato di due persone che si scelgono in età non più giovane; c’è l’amore fresco e improvviso della gioventù, simbolo di redenzione e catarsi, anche quando nasce dalle ceneri della negatività. E c’è l’amore carnale, anche se mai qui viene proposto come qualcosa di fine a sé stesso. Anche l’aspetto fisico di questo sentimento è sempre visto in un’ottica di poesia del dolore, di manifestazione del sentimento. Per riuscire a dare vita all’intreccio spazio-temporale del film, Arriaga aveva bisogno di attori molto vividi e realistici, capaci di sostenere scene anche in assenza di dialoghi e diverse svolte emotive. La scelta è ricaduta su due star che perfettamente si fondono nel ruolo delle due principali protagoniste: Charlize Teron per Sylvia e Kim Basinger per Gina. Le due attrici rendono al meglio lo smarrimento e la fragilità dei personaggi protagonisti, portando il confronto tra le due interpretazioni ad un paragone generazionale. Altra “presenza” importante della pellicola è l’ambientazione. I paesaggi scelti con cura dal regista hanno una potente forza evocativa, sia nelle rocce fredde e acuminate delle scogliere, nello spazio temporale di Sylvia, sia nelle aride radure che circondano il dramma delle due famiglie. Nel complesso ne risulta un film completo e melodrammatico, che ci regala momenti di grande coinvolgimento e di strutture narrative mai scontate sul tema del dramma familiare. Un film che fa riflettere sulla forza della vita, dell’amore, della speranza.