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Un uomo ritorna

14/01/2009 11:00

Giuseppe Salvo

Recensione Film,

Un uomo ritorna

Alla fine degli anni Trenta, Sergio (Gino Cervi), ingegnere nella ben avviata centrale idroelettrica del proprio paese, conduce una vita rispettabile: lavorator

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Alla fine degli anni Trenta, Sergio (Gino Cervi), ingegnere nella ben avviata centrale idroelettrica del proprio paese, conduce una vita rispettabile: lavoratore solerte, fratello maggiore e punto di riferimento di una numerosa famiglia. Ma l'incombenza della guerra rende tutti gli equilibri precari e insostenibili, dal momento in cui Sergio, ricevuta la chiamata, è costretto a partire. Al suo ritorno lo scenario che gli si apre davanti agli occhi è sconfortante: la fabbrica è in abbandono, distrutta dai bombardamenti e dalle mine dei tedeschi; i fratelli cercano di arrabattarsi per portare a casa qualche spicciolo, chi contrabbandando, chi, come la sorella, esibendosi nei locali frequentati dagli stranieri; infine l'amata Adele (Anna Magnani), consumata dalla speranza di poter riabbracciare il figlio deportato dalle truppe tedesche, brucia di dolore e di vendetta. Bisognerà rimboccarsi le maniche, affidarsi a tutta la forza di volontà e di spirito per affrontare un presente sfregiato, e rimettere in piedi le macerie di una nazione e di una coscienza collettiva e individuale infrante.


Un uomo ritorna abbraccia le vicissitudini di un microcosmo familiare stravolto dall'avvento della guerra per raccontare, all'indomani del Secondo Conflitto Mondiale (siamo nel '46), l'Italia postbellica. Una lente di ingrandimento per osservare con occhio partecipe e dolente le masse popolari alle prese, da una parte con i problemi appartenenti ad una realtà grandemente immiserita quali la povertà, il lavoro, la volontà di ricostruire che si scontra con le incapacità istituzionali - emblematico il percorso irto e tortuoso di Sergio tra gli ostacoli burocratici nel caparbio tentativo di rimettere in sesto la fabbrica; d'altra parte la dimensione più strettamente umana di una coscienza nazionale lacerata dal desiderio di rivalsa e vendetta per le angherie e le vessazioni subite. Adele - una intensa e addolorata Anna Magnani - diventa per antonomasia, espressione del comune sentimento di rabbia, nei confronti di una sorte tragica e ineluttabile (al cielo impreca per il dolore del figlio scomparso "perché a me? che ho fatto io di male?"), che travolge per primi e più di ogni altro gli umili e gli indifesi.


Stranamente il film alla sua uscita fu accolto da uno scarso successo di pubblico, e dopo una sporadica apparizione nelle sale italiane, la pellicola fu perduta. In fondo le tematiche inserite, seppure i toni talvolta si facciano melodrammatici, diventano quadro d'ensemble, ed hanno una portata facilmente estendibile alla più generale congiuntura nazionale: il problema del ritorno dei soldati, la ricostruzione dell'Italia dopo i soprusi subiti dall'invasione tedesca, il desiderio di vendetta - verso i collaborazionisti e i repubblichini - al quale la giustizia cerca di porre freno; Adele chiede a gran voce la pena di morte invece della condanna a vent'anni inflitta al repubblichino responsabile della deportazione del figlio. La frustrazione e il conseguente dissennamento portano la povera donna sull'orlo di un gesto insano e irrimediabile, in una delle sequenze - che la Magnani reduce da Roma città aperta rende estremamente inquietante - più funzionali alla tensione drammatica e al climax finale del film. Certo i toni tragici e pessimistici del capolavoro rosselliniano (che pure uscì lo stesso anno) sono lontani dall'opera di Neufeld; non potrebbe essere altrimenti vista la diversità della scuola di provenienza dei due cineasti: mentre il Rossellini del secondo dopoguerra è l'iniziatore del neorealismo italiano, Max Neufeld proviene, e anzi fu autore di spicco del cosidetto cinema dei telefoni bianchi. Nonostante qualche picco drammatico, il film si mantiene quindi su ritmi condiscendenti e con qualche eccesso di buonismo. Significativa la morale finale.


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