
Sarebbe deprimente pensare a uno straordinario talento comico ingabbiato in un personaggio sempre uguale a se stesso, un typos vagante da un titolo ad un altro, immerso in sceneggiature dagli sviluppi narrativi calcati e ricalcati. È quel che accade alla molteplice e omolagata massa di attori iperproduttivi dell'industria hollywoodiana; ma in questa congerie continentale, pochi riescono ad ergersi a veri e propri campioni, risollevando le sorti di trame sfornate con lo stampo. I dubbi vengono allora travolti da un divertimento genuino e gradevole. Jim Carrey è Carl Allen, avvilito impiegato di banca, affetto da una patologica tendenza a rifiutare qualsiasi stimolo esterno la vita gli offra: non risponde alle chiamate degli amici, non si scolla di dosso il fallimento del suo matrimonio, inventa scuse assurde e traballanti per non mettere il naso fuori da una mediocre e rassicurante routine. Quando non si presenta alla festa di fidanzamento del suo migliore amico, arriva per lui il momento di rivedere il suo stile di vita. Durante un seminario motivazionale di un simil-predicatore new-age, Carl stringe una promessa solenne: deve dire «si» alla vita, abbracciare ogni singolo attimo, non lasciarsi più sfuggire nessuna occasione. Annebbiato dalle roboanti parole del guru, Carl si impone di dire «si» a tutto, ma proprio a tutto (anche alle proposte indecenti di una raggiante vicina di casa) per amicarsi la fortuna, benevola nei confronti degli yes men; e se la rivoluzione apportata al suo carattere lo porta ad emozioni dimenticate da tempo, lo spinge anche ai malintesi che possono nascere dall'usare quel magico monosillabo senza criterio, senza riuscire a discernere la propria volontà dall'autocoercizione. Il film si regge quasi interamente sulla comicità irresistibile di un trabordante Jim Carrey, autentico quanto raro animale del set, con le sue gag e virtuosismi facciali, e una maschera microfisionomica di gomma, capace delle più disparate e incredibili evoluzioni espressive. Certo, messe molto più a bada rispetto al passato (Ace Ventura - L'acchiappanimali, Scemo & più scemo), frenate da una sceneggiatura che non si spinge molto oltre un livello di umorismo unanimemente apprezzato e bastevole. Tra riflessioni pseudo-oraziane, citazioni tematiche (gli incitamenti e la carica testosteronica di 300 calzano a pennello, per poi essere smontati in men che non si dica) e sottotrame amorose, quindi, gli eccessi rimangono esclusi, o quasi: il demenziale botta e risposta tra Carl e il suo capoufficio a suon di mimiche e smorfie a distanza, non dà respiro. Un personaggio fin troppo cucito su precedenti ruoli – si pensi al fortunatissimo The Mask o al più recente Una settimana da Dio: personaggi al limite dello svilimento, incapaci di un cambiamento radicale, che vengono sorpresi da una svolta inattesa foriera di poteri impensabili – quelli invincibili e incontrollabili di una maschera, nientemeno che quelli divini, fino ai poteri dell'autoconvincimento esaltati dal guru di Yes Man - Una parola può cambiare tutto. Poteri che, se abusati... a voi le conclusioni.