Alcuni film, si sa, si scrivono praticamente da soli. Prendete ad esempio il non proprio eclettico Brendan Fraser. Ora, mettetegli accanto una spalla giovane e possibilmente avvenente – in questo caso l’algida bellezza di Anita Briem –, aggiungete Josh Hutcherson (Un ponte per Terabithia) nei panni dello scontroso nipotino, inserite nel calderone qualche improbabile mostro, spettacolari esplosioni e spericolate acrobazie e vedrete che pian piano la pellicola acquisterà consistenza, prenderà forma da sé e, mettendosi in piedi sulle sue fini gambe di celluloide, si recherà senza timore alcuno in gran parte delle sale cinematografiche del globo, tornano infine all’ovile con in dono un incasso da svariati milioni di dollari. E’ questo il caso di Viaggio al centro della terra 3D, ennesimo adventure movie adatto a tutte le età nel quale i nostri prodi eroi, ricalcando le orme letterarie del quasi omonimo romanzo di Jules Verne, si imbarcheranno per un viaggio diretto appunto nel cuore del nostro pianeta alla disperata ricerca di uno zio ormai da lungo tempo scomparso. Tra tumultuosi vulcani, enormi pesci volanti e uno spaventoso tirannosauro, i nostri troveranno infine non solo la via di casa, ma anche un’affinità da tempo perduta e nuovi e romantici legami Il canovaccio è quindi quanto di più classico ci possa essere, ma la pellicola ha, dalla sua, la qualità di non prendersi mai sul serio, adottando un tenore scanzonato e divertito per tutta la sua breve durata, e abbinando, a questo, un ritmo serrato e privo totalmente di tempi morti. Ma come i più astuti di voi avranno già notato leggendo il nome in locandina, in questo film c’è qualcosa in più: e questo qualcosa è… un ulteriore dimensione! Riportando in vita infatti una tecnologia prematuramente data come defunta, il mago degli effetti speciali Eric Brevig resuscita dal passato fortunatamente non solo quell’offesa al buon gusto che furono gli occhiali a lenti rossoverde degli anni ’80, ma rispolvera anche l’inversamente consequenziale tecnologia 3D, innalzandola a fasti mai raggiunti prima e dando alla cinematografia un “nuovo spessore”. I primi minuti con sul naso questi buffi occhiali saranno infatti di puro stupore, e faranno tornare bambini anche i più geriatrici tra di voi. L’effetto di immersione e di coinvolgimento riesce ad essere infatti incredibilmente reale e, essendo l’intera architettura del film costruita sull’esaltazione di questa tecnologia, ci sarà più di un momento capace di lasciare a bocca aperta lo spettatore, ora aggredito da una infida pianta carnivora, ora disperatamente aggrappato ad un carrello nella folle corsa all’interno di una miniera abbandonata. Questa dipendenza, e a sua volta valorizzazione delle tecnologia 3D, è al contempo il cavallo di battaglia e il tallone d’achille del progetto. Perché, se da una parte è innegabile la prorompente forza visiva data alle immagini dal ritrovato effetto di profondità, dall’altra, una volta assuefatta alla novità, l’eccitazione non potrà che scemare in un finale dove l’abitudine avrà scalzato il fervore iniziale, e dove la semplicità del sostrato narrativo comincerà a mostrarsi in tutta la sua vacuità. Ancora peggio ovviamente nel caso il film venisse proiettato in una sala non attrezzata per la visione a tre dimensioni, situazione quest’ultima che finirebbe però per svilire oltre i suoi demeriti una pellicola che ha invece il gran pregio di riportare alla ribalta una tecnologia dalle enormi possibilità, aprendo per il futuro porte prima neanche lontanamente immaginabili.