I Dieci Comandamenti (intra)visti attraverso la lente non poco insidiosa della demenzialità ; poiché, se da un lato la commedia non esaurisce mai il suo potenziale e i temi da cui attingere – fossilizzati tra crisi coniugali, ossessioni erotomane, pulsioni fedifraghe, equivoci strampalati –, d’altra parte fare ridere non è un obiettivo da sottovalutare, né tantomeno facile da raggiungere. Ci troviamo in tempi in cui la parodia risulta essere mero pretesto per mettere in scena il non sense più sciatto e deprimente, partendo da classici del recente passato – prendete gli innumerevoli Scary movie et similia –, e offrendo in pasto a un pubblico sempre meno esigente prodotti che fanno ridere soltanto i botteghini. David Wain si imbarca in questo diluvio universale con mezzi e attori che dalla loro danno una parvenza di decenza artistica quantomeno al trailer, ma che spalmate nei ben dieci episodi del film annacquano le aspettative tra le maree di una sceneggiatura debole e poco incisiva. Il pretesto è elementare: un narratore elenca i Comandamenti biblici raccontando, per ognuno di essi, una storia, con le relative conseguenze che la trasgressione delle leggi divine comporta. Dall’uomo qualunque, che attraverso un caso straordinario (precipitato da un aereo senza paracadute e rimasto vivo) diventa una star mondiale, alla bibliotecaria che in Messico viene colta dal risveglio dei sensi e della passione concedendosi a un commerciante di protesi in legno di nome Jesus (forse il migliore sketch del decalogo), al chirurgo che in sala operatoria lascia le forbici nell’intestino di una paziente per scherzo, alla moglie di un conduttore televisivo che si innamora del pupazzo di un famoso ventriloquo, fino alle traversie tragicomiche del suddetto chirurgo nel carcere di detenzione; infine l’episodio girato in animazione (non irresistibile, ma quantomeno simpaticamente sgradevole), dello spacciatore menzognero col vizio di diffondere false voci sul prossimo, chiude il circolo degli allegri peccatori. Tra situazioni surreali, alcune incomprensibili ancor più che demenziali, e rappresentazioni che oltrepassano il limite della comicità fine a se stessa, i protagonisti e il narratore (un Paul Rudd non esente dallo spaesamento generale) si barcamenano in un’atmosfera goliardicamente insufficiente, nel quale la leggerezza cede il passo all’inconsistenza. Gli elementi della nostra attualità decadente ci sono tutti, follie omicide e perversioni erotiche estreme (sodomie omosessuali consensuali, tradimenti ripensamenti e ancora tradimenti, perfino Winona Ryder che urla di piacere sulle membra inerti di un pupazzo…), e la comicità che da essa prende spunto sembra seguire la stessa deflagrazione di valori.