Così come Nightmare è indissolubilmente legato al personaggio di Freddie Krueger e Halloween è tutt’uno con Michael Myers, la serie di Venerdì 13 è per tutti il campo da gioco di Jason Voorhees: protezione da hockey sul volto, mannaia in mano, e si salvi chi può. In realtà, nel primo anello di quell’infinita catena di film e telefilm che costituiscono una vera e propria religione per milioni di appassionati in tutto il mondo, del mascherato baobab si ha solo una piccola apparizione, in vesti del tutto diverse da quelle che poi diverranno canoniche, e una presenza che aleggia minacciosa per tutta la durata della pellicola, diretta da Sean S. Cunningham nel lontano 1980. Difficile spiegare l’incredibile successo avuto dal film - entrato nella mitologia degli slasher movies in compagnia degli idoli sopra citati - e dai numerosi seguiti, per lo più di fattura tutt’altro che eccelsa. Il lungometraggio in sé è un inno alla più assoluta semplicità: nulla della tensione psicologica di Carpenter, nulla delle cavalcate oniriche di Wes Craven, né delle folli mattanze delle quali è costellato lo slasher per antonomasia, Non aprite quella porta. Dalla tragica morte di un ragazzino per annegamento, sul campeggio di Crystal Lake grava una maledizione: tra l’indifferenza generale di bagnini e sorveglianti, uno sconosciuto assassino, approfittando della notte, elimina sistematicamente a uno a uno tutti i giovanissimi lavoranti del posto. La linearità della trama, scevra di qualsivoglia orpello, e la giovanissima età dei protagonisti (cliché ipersfruttato dagli innumerevoli teenager horror movies a venire) quasi tutti instupiditi da droga e sesso, portò proprio i giovani americani a decretare l’immenso trionfo del film che, con un budget risibile, tenne testa agli incassi del contemporaneo Shining. Per nulla originale e chiaramente ispiratosi al filone partito con The Texas chainsaw massacre e all’horror italiano degli anni ’70 - a Bava in particolare -, il film ha comunque degli indiscutibili punti di forza; a partire dalla meravigliosa location, che trova nello sconfinato spazio aperto - splendido alla luce del giorno, spaventoso nell'oscurità della notte - un dualismo che pervade tutto il film, fino a rendere lo sconfinato parco una prigione claustrofobica. La presenza del guru degli effetti speciali Tom Savini, vera e propria leggenda del settore, creatore di trucchi di notevole impatto e caduti per questo nelle fitte maglie della censura americana ed europea (la decapitazione del killer è ormai entrata nella storia), “regala” morti particolarmente cruente e visivamente shockanti a tutte le vittime. La colonna sonora dissonante di Harry Manfredini, col famoso tema ricorrente del “sussurro” che accompagna la reiterazione dei singoli omicidi, girati in soggettiva, dà allo spettatore la “piacevole” sensazione di essere responsabile in prima persona della morte degli assatanati ragazzotti, secondo una morale sessuofoba à la Cronenberg che pervade il film. Infine, l’interpretazione di Betsy Palmer che ricalca la sua Pamela Voorhees sullo stilema dell’hitchcockiano Norman Bates, creando un personaggio malignamente schizofrenico e di sicuro impatto. Il sipario si chiude sulla prima apparizione, a metà tra realtà e incubo, di Jason, sullo sfondo del magnifico paesaggio del Crystal Lake, sottolineato dal delicato tema finale solo per pianoforte di Manfredini: la saga è iniziata.