Walt Kowalski è un reduce della guerra di Corea, chiuso verso il mondo esterno, esacerbato dalle ombre del passato, razzista e incapace di instaurare rapporti con gli altri, e in particolare con la propria irrispettosa progenie. Il trasferimento di una famiglia coreana nella casa accanto alla sua innesca una serie di avvenimenti che porteranno il vecchio Walt a confrontarsi con persone istintivamente disprezzate, salvo poi scoprire di avere forse più cose in comune con costoro che con i suoi stessi figli e nipoti. Dopo aver scacciato una gang di teppisti dal proprio terreno, salvando in questo modo i suoi vicini dalle loro angherie, Walt diventa una sorta di eroe del quartiere, e inizia suo malgrado a frequentare e conoscere la realtà tanto detestata, con una diffidenza che pian piano si scioglie in una crescente simpatia, in particolare rispetto all’introverso Tao e alla sorella Sue. Sulla base di questo canovaccio, Clint Eastwood riesce a costruire un’opera di vera poesia, in grado far ridere e commuovere, indignare e gioire, sa rispecchiare le contraddizioni della società americana, pone l’accento sull’importanza dei valori e delle persone e sulla capacità di andare oltre le distanze che ci separano. Ampio spazio è lasciato anche alla spiritualità , sia attraverso il linguaggio simbolico, sia grazie alla figura del giovane prete Janovich (interpretato da Christopher Carley), personaggio secondario, ma di grande intensità e coerenza nel non facile confronto con le ruvide posizioni di Kowalski. Se questo film segnerà l’ultima prova da attore per il texano dagli occhi di ghiaccio, il ricordo che resterà di questa performance sarà di un interprete di grande spessore, capace anche di ritrovarsi in siparietti comici inaspettati, che creano un equilibrio drammatico con le ruvide espressioni che l’hanno reso famoso. Per il resto Gran Torino è uno splendido meccanismo composto da ingranaggi di pregio, senza alcun elemento fuori posto: l’evoluzione del film è drammatica, ma il genio di Clint Eastwood sa trattare anche i temi più scabrosi con il giusto rispetto, riuscendo a non scadere mai nel retorico o nell’edulcorato, regalando sempre delle grandi emozioni e la sensazione di aver assistito a qualcosa di importante. L’opera di Clint Eastwood è un affresco della contemporaneità americana alla luce dei valori tradizionali di cui lo stesso regista e attore si fa custode: un ritratto coerente, spietato e lucidamente critico di una società in degrado, in cui la speranza di miglioramento – da affidare alle nuove generazioni – è possibile, ma non a buon mercato.