Arriva nelle sale la prima parte del lavoro di Soderbergh, Che – l’Argentino, presentato al festival di Cannes unitamente al secondo atto, dall’1 maggio in uscita. In questo primo capitolo il registra si concentra sulla rivoluzione cubana e sull’evoluzione della figura di Ernesto ‘Che’ Guevara (Benicio Del Toro), da giovane medico argentino al seguito di Fidel Castro nell’intento di rovesciare la dittatura di Batista e di lottare contro l’egemonia dei latifondisti, a guida preziosa e Comandate indiscusso dell’esercito, nonché beniamino del popolo cubano. Siamo nel 1956. Fidel Castro (Demian Bichir), leader del movimento armato “26 de julio”, salpa per Cuba con un manipolo di 80 ribelli circa. Accanto a lui il fratello, Raul (Rodrigo Santoro), e il giovane Ernesto Guevara, soprannominato “l’argentino”, giovane medico che abbandona la propria professione per unirsi alla lotta contro la dittatura. Per sopperire all’inferiorità numerica rispetto all’esercito regolare cubano, i guerriglieri ricorreranno ad un addestramento lungo e intensivo nel corso dell’attraversamento della Sierra Maestra, reclutando forze e aiutanti tra i contadini della zona. E proprio in questa fase Guevara inizia a palesare a poco a poco le proprie capacità, mostrando da una parte un lato duro e risoluto che lo porterà a diventare Comandante di una struttura rivoluzionaria con fondamenti sociali determinanti, trascinanti e anche violenti; dall’altro quello dell’uomo che combatte contro la stanchezza e il malore fisico (l’asma terribile) e si batte per l’importanza della cultura e la scolarizzazione dei contadini, garantendo oltre alle armi anche classi per l’alfabetizzazione. Alla fine del 1958 saranno circa tre mila i ribelli guidati dal movimento castrista, un vero esercito organizzato e rigoroso. Il racconto della rivoluzione viene intramezzato, con un andirivieni temporale tra flashback e flashforward, dagli interventi in bianco e nero del Che al congresso dell’ONU nel 1964 come Ministro cubano, e dall’intervista che rilasciò a una giornalista americana, illustrando i suoi ideali, gli obiettivi e i mezzi per raggiungerli. Ed è forse in questi frangenti, complice anche l’ottima fotografia, che le emozioni hanno maggiore forza: nell’interpretare quelle parole, quei discorsi che hanno contribuito a definirne la grandezza, l’iconografia e il carisma del personaggio, lo stesso Benicio Del Toro si confonde e si plasma a perfezione con il leader cubano. La pellicola volge vorticosamente al culmine della rivoluzione, passando per l’attacco a Santa Clara: qui i ribelli, cui si è unita anche la giovane Aleyda (Catalina Sandino Moreno), lanciano un decisivo e violento attacco alla città fino ad ottenere, nel gennaio del 1959, la totale resa delle forze regolari e il plauso del popolo cubano. La vittoria della battaglia di Santa Clara aprirà la strada verso La Avana. Questa prima parte del lungo lavoro di Steven Soderbergh, frutto di 7 anni di studio e approfondimento, convince a metà. Non può definirsi un documentario né una lettura completamente soggiogata alla figura, complessa e straordinaria, del Che. Forse, per non incappare nel rischio di venerazione da una parte o di creazione di un’ennesima e artefatta cartolina sbiadita dall’altra, il regista finisce col definire un profilo freddo e impersonale del Comandante, che prende le distanze dal pubblico e non convince, né tanto meno emoziona, fino in fondo. Nonostante l’impegno e il duro lavoro, anche da parte del cast – straordinario per la capacità di riproporre determinati movimenti e mimiche dei leader – difficilmente il Comandante portato in scena da Soderbergh potrà imporsi tra i fedeli ammiratori del giovane rivoluzionario che continueranno, ancora per molto, a leggerne e ammirarne altrove le imprese.