Marco (Andrea Lucente), rimasto orfano di padre, si trasferisce con la madre (Francesca Rettondini) da Milano a Roma. Arrivato ad uno degli anni cruciali per il proprio futuro – l’ultimo anno di liceo – il ragazzo si inserisce nel contesto di una classica scuola romana. Spigliato e abbastanza disinvolto Marco non fa fatica a stringere amicizie soprattutto con Federico (Daniel Bondì), Sara (Annica Rodolico) ed Elisa (Martina Manichini). Purtroppo però Marco dovrà fare i conti con Miki (Gabriele Merlonghi), bullo aggressivo e violento che lo prende di mira. Le disavventure del malcapitato studente milanese sono raccontate da Sara, che attraverso il suo blog descrive tutti i momenti dell’ultimo anno di scuola soffermandosi particolarmente sulle continue pressioni di Miki a discapito della classe. Scritto e diretto da Angelo Antonucci, Nient’altro che noi è il primo film italiano a parlare di un tema di scottante attualità quale quello del bullismo. Il merito del regista di Masaniello è quello di saper dare la giusta collocazione ad un problema che rischia, nell’opinione comune, di rimanere strettamente contestualizzato alle quattro mura scolastiche; e invece la scuola non è che l’ultima valvola di sfogo di una delinquenza imperante. Miki, infatti, oltre ad essere un bullo è anche uno spacciatore ed un abituale consumatore di stupefacenti, influenzato da una situazione di totale abbandono della propria famiglia: il padre (Claudio Botosso), rinomato avvocato della Roma bene, è un’assenza costante a casa e non disdegna una tirata di cocaina di tanto in tanto, e la madre (Antonella Ponziani) essendo sempre fuori per lavoro non può interessarsi ai problemi del figlio. Dal punto di vista strettamente tecnico la pellicola presenta molte incertezze e parecchie lacune, essendo per lo più un lungo cortometraggio oppure una lunghissima pubblicità progresso che incentra tutta la sua essenza, ed esistenza, sull’onda mediatica che il tema del bullismo sta cavalcando. Anche se coraggiosa, la scelta di ingaggiare un cast alle prime armi ed affiancarlo a maestri del cinema come Philippe Leroy si rivela, tranne che per qualche buona interpretazione come quelle di Rodolico e Melonghi, una scelta che non viene premiata, rimanendo le prestazioni dei giovani troppo sostenute e poco espressive. Vero tallone d’Achille del lungometraggio di Antonucci è la colonna sonora, monotona e ripetitiva, che accompagna tutto il film dando un taglio quasi documentaristico. Insomma buona la scelta ed il modo in cui viene affrontato il tema, non altrettanto buona la realizzazione tecnica che rischia di far rimanere Nient’altro che noi un film per una stretta cerchia di persone.