Carlo Marzia è un broker: vende e compra azioni. E’ uno che conosce il suo mestiere e sa che il rischio è la variabile più eccitante in questo settore. Ogni cosa va a gonfie vele, fino al giorno in cui a causa di un investimento errato perde tutto: casa, fidanzata, amico e si ritrova a dover ricominciare da capo. Lascia la città e si dirige a Zuccarello, piccolo borgo medievale in Liguria. Qui, in un luogo lontano dal business e dagli affari, Carlo riscopre per gioco la passione per la borsa valori; finché il gioco non si fa serio… Firma la regia Emiliano Cribari, Riccardo Leto il soggetto. Una borsa da lavoro, consunta e logora, ora in possesso di Carlo (Fabrizio Rizzolo), è l’unico oggetto rimastogli del padre: al suo interno foto e ricordi del passato, i segni seguiti dal protagonista e che lo condurranno a Zuccarello, luogo insolito e decisamente strano. Qui si consumano nella noia e nel logorio incessante dei giorni – sempre uguali – le sorti dei pochi abitanti che vi risiedono; il sindaco è anche preside della scuola, la scuola è anche sede del comune, ad un’ora prestabilita le insegne dei negozi si alterano e si alternano misteriosamente. L’arrivo di Carlo destabilizza la routine del luogo e porta una ventata di nuovo, probabilmente a lungo attesa. Il destino del personaggio principale si gioca nel posto più improbabile; aiutato da un ragazzino sagace ed intraprendente, Carlo, ritroverà la gioia di rischiare e di giocare, questa volta seriamente. La regia di Emiliano Cribari si cimenta con il genere, a lui caro, della commedia. La macchina da presa riprende volti, scorci, gioca con le immagini, anche se in questo film non osa nulla di coraggioso. La galleria di personaggi, tra cui le tre vedove ed il becchino, sono ben tratteggiati e gli interpreti convincono, seppur siano sporadiche le apparizioni e brevi i dialoghi. A convincere poco, invece, è il soggetto. L’idea originale si perde strada facendo. Il mistero delle insegne interscambiabili e dei personaggi con il dono dell’ubiquità non viene sviluppato adeguatamente, facendo scivolare la pellicola in un vortice di tediosa banalità e sonnacchiosa fruizione. Il faceto si tramuta in pirandelliano umorismo, raggiungendo il suo parossismo nella scena in cui un farmacista frustrato e inviperito, scopre improvvisamente di essere ricchissimo, perché vecchie banconote in suo possesso, considerate fuori corso, in realtà non lo sono: ad illuminarlo l’acume geniale di un bambino delle elementari. Un vero peccato non aver saputo puntare all’originalità , dando alla trama quel senso di intrepida attesa legata all'inespresso, miseramente tramutata in smorfie di disappunto sul finale. Rischiare è lecito, ma a giocare troppo si finisce per non essere presi sul serio.