In concorso al festival di Cannes nel 2006, Fast Food Nation di Richard Linklater (A Scanner Darkly - Un oscuro scrutare) è un film di accusa che pone delle domande scomode, ma alla realizzazione documentaristica – probabilmente per distanziarsi da Super Size Me – preferisce la fiction. Ciò che fa esattamente è inventare un marchio – la catena di fast food “Mickey's”, che fungerà da filo conduttore per diverse storie – e mettere a fuoco l'orrore che si nasconde dietro l'allettante pubblicità del “Big One”. Macellai seduti al potere e clandestini divenuti macellai: Richard Linklater per risultare credibile si appoggia al saggio-scandalo del giornalista statunitense Eric Schlosser e con fare spiazzante azzera l'appettito. La storia coinvolge un responsabile marketing della catena di fast food Mickey's, Don Anderson (Greg Kinnear), portato ad indagare su una questione che metterebbe a rischio l'intera azienda: secondo uno studio in laboratorio, la carne destinata alla vendita presenterebbe un'elevata quantità di batteri fecali. La sede che si occupa della macellazione dei bovini si trova a Cody, in Colorado; così mentre Don parte alla scoperta della verità, in città Amber (Ashley Johnson) - un'adolescente che lavora al Mickey's per pagarsi gli studi - si darà all'attivismo politico dopo aver intuito ciò che Don non ha ancora scoperto. E se da un lato ricchi affaristi in costume dialogano sulle nuove campagne promozionali da lanciare, un gruppo di clandestini messicani finiscono per lavorare nel macello in cambio di una paga, per loro, incredibilmente allettante. Ma il sogno durerà molto poco... La diegesi asciutta, concentrata tanto più sui dialoghi che nei risvolti a sorpresa, poggia le sue fondamenta nell'incrocio tematico portato avanti da un ottimo cast – da segnalare il cameo di Bruce Willis – divagando probabilmente un po' troppo nella parte finale. La sceneggiatura difatti perde di vista molte substories lasciando spaesato lo spettatore, fino a isolarlo nel macello fino ad allora tenuto nascosto. Qui la regia incentiva lo shock e chiude un arco narrativo basato sulla ricerca. Seppur meno attivista di Super Size Me ma altrettanto diretto, Fast Food Nation rivolge il suo messaggio politico contro l'imperialismo culturale degli Stati Uniti nei confronti dei paesi latinoamericani, sfruttando a mo' di collante il marcio nascosto dalle catene dei fast food. L'avvertimento è critico, perché vede annullato il pensiero collettivo a favore dell'economia rivolta al profitto. Prodotti della globalizzazione o no, le nazioni dai cibi veloci annebbiano le menti attraverso guerre psicologiche e conducono i consumatori a non pensare con la propria testa ma a riflettere sulla base di slogan pubblicitari. E mentre lavoratori sottopagati perdono la dignità, Ronald McDonald continua a sorridere.