Atteso da eserciti di fan adoranti di tutto il mondo, arriva anche in Italia Uomini che odiano le donne, trasposizione cinematografica del primo capitolo della fortunata trilogia (dieci milioni di copie vendute) Millennium di Stieg Larsson. Alla portata planetaria dell’opera fa da contraltare la sua realizzazione completamente autarchica, niente super produzioni o cast internazionali, e tutto rigorosamente svedese. Una scelta – fatta ancor prima dalla rivelazione del romanzo – assolutamente fortunata, perché ciò che ne viene fuori è un thriller appassionante, visivamente ed emotivamente coinvolgente. L’anziano multimiliardario Henrik Vanger, patriarca dell’omonimo potentissimo clan svedese, cerca da quarant’anni di sciogliere, senza esito, il mistero sulla scomparsa dell’adorata nipote Harriet. Fermamente convinto che sia stata assassinata da un membro della famiglia, da lui ritenuta un vero e proprio covo di vipere, si rivolge a Mikael Blomkvist (Michael Nyqvist), giornalista caduto in disgrazia dopo aver fatto esplodere un colossale scandalo economico rivelatosi poi una gigantesca bufala. Ad aiutarlo nelle ricerche sarà Lisbeth Salander (Noomi Rapace), una giovane hacker con un passato oscuro. Al progressivo dipanarsi del mistero sulla sorte di Harriet, si infittirà sempre di più quello riguardante i segreti della famiglia Vanger; mentre il rapporto tra Mikael e Lisbeth scorre tra gli ostacoli della profonda misantropia della ragazza. L’avvincente sceneggiatura è guidata dalla regia rilassata e geometrica di Niels Arden Oplev e dalla fotografia di Kress e Fischer, capaci di catturare la bellezza degli esterni tra boschi innevati e placidi laghi. In un cast tutto di ottimo livello spicca sicuramente Noomi Rapace: la sua Lisbeth è indubbiamente l’icona del film, un personaggio complicato, ricco di sfaccettature e mistero, e un’inquietudine figlia di un fosco passato di abusi e atti di prevaricazione. La prima parte del film, più che sul “giallo” è focalizzata sul “nero” del rapporto tra Lisbeth e il suo tutore, scandito da scene particolarmente crude, e un climax di brutale violenza. Mentre Lisbeth è la metà oscura del film, Mikael è quella “bianca”: un personaggio positivo, vittima di un complotto ma pronto a ricominciare, senza inutili vittimismi, con la consapevolezza di essere in grado di riprendere in mano la propria vita con tenacia e perseveranza. Colpisce molto, inoltre, l’immagine di una Svezia lontana dal paese lindo che l’opinione pubblica vuole: un mondo sommerso da scandali finanziari (“non meno che in altri paesi europei”, ha sottolineato Oplev) e soprattutto dell’alta percentuale di violenza sulle donne, una piaga difficile da sanare. Attendendo il seguito La ragazza che giocava con il fuoco – secondo capitolo della trilogia larssoniana, in post-produzione e nelle sale da ottobre – nutriamo la speranza di poter bissare i fragorosi applausi del primo.