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Drive

18/06/2011 11:00

Erika Pomella

Recensione Film,

Drive

Un abile stuntman prestato alla malavita organizzata

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Tratto dal romanzo omonimo di James Sallis, edito nel 2006 da edizioni Giano, Drive rappresenta la prima vera occasione per il regista danese Nicolas Winding Refn di fare il grande passo verso il cinema che conta, quello dei festival e dei premi importanti. Fattosi notare con Bronson, film biografico su Michael Gordon Peterson, uno dei maggiori criminali inglesi, Refn porta il suo splendido Drive sulla croisette, aggiudicandosi il premio per la miglior regia, anche grazie alla scelta di un cast azzeccato, sovrastato da Ryan Gosling che, dopo l'ottima (e sottovalutata) prova in Blue Valentine, torna a costruire un personaggio problematico ma incredibilmente affascinante, sfiorando gli apici raggiunti dal Travis di Taxi Driver.


Gosling interpreta un uomo (di cui non si sa il nome) che di giorno fa lo stuntman cinematografico e di notte fa l'autista per ladri in fuga, grazie alla sua incredibile capacità al volante, che gli permette sempre di scappare dalla polizia. Le cose cambiano quando gli viene proposto di diventare un pilota professionista nelle gare di circuito. Ma la vera svolta della sua vita è rappresentata dall'incontro con la sua dirimpettaia Irene (Carey Mulligan), donna fragile e indifesa che, come una moderna Penelope, aspetta (insieme al figlio Benicio) il ritorno a casa di suo marito Standard (Oscar Isaac). Quando quest'ultimo esce di prigione, il pilota si vede estromesso dalla vita di Irene; e appena scopre che Standard deve una montagna di soldi all'uomo sbagliato, decide di offrirsi come autista per una rapina, nella speranza che con il saldo del debito, la vita di Irene possa tornare ad essere normale. Purtroppo le speranze di questo pilota senza nome sono destinate ad infrangersi, e un'ondata di incredibile violenza cancellerà gran parte delle sue aspirazioni.


Bisogna dirlo: Drive è soprattutto Ryan Gosling. Per 95 minuti interi l'attore lascia la firma su ogni inquadratura. Bello, dannato e sfortunato, con la sua passione per la guida, l'abilità negli inseguimenti e la sete di vendetta che lo muove rappresenta un mix perfetto di fragilità e violenza, eseguite con una maestria che irretisce immediatamente chiunque sia seduto in sala. La sua è una recitazione che non fa sfoggio di dialoghi scoppiettanti o di indimenticabili monologhi; è piuttosto una recitazione corporea che si basa sulla tensione dei muscoli sotto la t-shirt e sulla vasta gamma di emozioni che Gosling riesce ad esprimere attraverso una performance silenziosa. In Drive Ryan Gosling è un personaggio all'apparenza freddo come il ghiaccio, una sorta di moderno cavaliere senza nome, che sembra guardare il mondo dietro una coltre che lo separa tutto il resto. Ma, grazie ad una sceneggiatura minimalista, il suo personaggio cambia gradualmente man mano che il ritmo incede. Se all'inizio appare quasi come un automa che esegue comandi dall'esterno - come nella scena sul set, in cui gli viene detto espressamente cosa fare e cosa no - quando la storia comincia a prendere forma, attraverso i sentimenti che lo legano ad Irene, il pilota si trasforma in un personaggio attivo, che prende decisioni - giuste o sbagliate che siano - e che si fa arteficie del proprio destino. Alla fine il pilota si trasforma in una sorta di pugile che, costretto all'angolo dagli eventi, decide di reagire, e combattere.


Tuttavia, si farebbe un torto enorme a non parlare di Drive soprattutto come un capolavoro di Nicolas Winding Refn. Se, come si è detto, Gosling rappresenta il personaggio perfetto per una simile storia, è altrettanto vero che un film del genere avrebbe potuto anche essere un insuccesso (si pensi, ad esempio, al mediocre Driver - l'imprendibile) senza il contribuito della cifra stilistica del regista danese. Anche grazie ad un utilizzo eccellente della colonna sonora, Refn costruisce un mondo diegetico che sembra sospeso tra gli anni settanta e gli anni duemila. Una sorta di dimensione senza luogo, fatta prevalentemente di oscurità, luci al neon e sangue, come nella miglior tradizione noir. Ma è senza dubbio all'eredità del cinema di Martin Scorsese e del miglior Michael Mann che Refn strizza l'occhio. La città immersa nella notte, con le luci artificiali che brillano più delle stelle sembra derivare dal mondo corrotto di Miami Vice o di Heat - La sfida. L'esplosione di violenza che colpisce il protagonista e che lo trasforma in un assassino è un chiaro richiamo al lavoro svolto da Scorsese nella maggior parte dei suoi film. Non a caso, nella pellicola di Refn trova spazio un chiaro riferimento a Quei Bravi Ragazzi e The Departed: in una scena Ryan Gosling viene ripreso dal basso mentre colpisce il suo nemico con un calcio; allo stesso modo Billy (Leonardo DiCaprio) picchiava un avventore del bar e Ray Liotta prendeva a calci l'uomo che ha importunato la fidanzata. La grandezza di Refn sta proprio nell'attingere dalla grande tradizione del cinema migliore, per poi rivisitarlo attraverso il proprio stile, mescolando morte e amore, speranza e disperazione. La scena finale, poi, è costruita in modo tale da fermarsi a metà strada tra le illusioni e la cruda realtà. E la bellezza di questa sequenza è simmetrica a quella dei titoli di testa: uno degli incipit migliori della stagione.


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