A sei anni dal suo inizio, Fred Vogel decide di chiudere la saga che lo ha reso famoso nel sottobosco estremo, attirando l’attenzione e il consenso di una ristretta cerchia di appassionati grazie, soprattutto, al passaparola sul web.
Dopo l’apice toccato da August Underground’s Mordum era impossibile realizzare qualcosa di più allucinante e depravato. E, infatti, a sorpresa, questo terzo capitolo riesce quasi a rientrare nei binari classici del cinema.
Non è più solo un inanellarsi di violenza e sadismo, ma si cerca di raccontare una storia, imbastendo una trama di fondo e riuscendo anche ad approfondire la contorta psiche dei protagonisti.
Con August Underground’s Penance Vogel mette in scena dei dialoghi strutturati e la violenza (sempre presente in maniera massiccia, non aspettatevi una commedia romantica) non è più sbattuta sullo schermo con l’unico scopo di scioccare, bensì diventa funzionale alla narrazione.
Anche dal punto di vista registico Vogel tira il freno a mano: mantiene sempre lo stile found footage dei primi due capitoli, ma lo ammorbidisce, rinunciando agli eccessi dell’usura del VHS in favore all’approccio digitale che rende le immagini nitide e meno sbavate, senza però perdere la resa amatoriale che è uno dei tratti distintivi della saga.
Insomma, il ragazzo è maturato, complice il fatto che nel 2006 ha girato The Redsin Tower, il suo primo horror “canonico”: un ragazzo disperato e psicotico segue gli amici della sua ex-fidanzata nella Redsin Tower del titolo, una struttura fatiscente dove una notte di festa si trasforma in una lotta alla sopravvivenza. Anche in questo caso Vogel non si risparmia gli eccessi, ma il registro stilistico e narrativo è decisamente molto più canonico rispetto agli August Underground.
Ovvio è che si tratta sempre di un prodotto ai limiti dell’amatoriale, realizzato con un budget a dir poco esiguo, utilizzato perlopiù per gli effetti speciali, sempre ottimi. Ma è innegabile che ci sia un’evoluzione. Anzi questo terzo capitolo, seppur più blando rispetto ai precedenti, diventa quasi “necessario” per poter dare un senso e una coereza all’intera trilogia.
I protagonisti sono ancora Peter (lo stesso Fred Vogel) e la sua ragazza Crusty (Cristie Whiles, già vista nel secondo capitolo) che si trascinano per la provincia americana infastidendo, torturando e uccidendo un po’ tutto ciò che capita loro a tiro (c’è pure una scena ambientata in una specie di zoo che sembra quello di Joe Exotic) senza soluzione di continuità. E fin qui non c’è nulla di nuovo rispetto ai precedenti film, anzi, tutto sembra annacquato e molto più blando.
La “svolta” avviene quando i due iniziano a torturare una donna incinta e Crusty ritrova un po’ della propria umanità provando del senso di colpa. Così di botto capisce che tutto ciò che hanno fatto sino a quel momento era leggermente immorale e disumano: ovviamente Peter non prende benissimo questa sua redenzione.
A conti fatti la chiusura del ciclo di August Underground forse non è riuscita alla perfezione dal punto di vista narrativo - Fred Vogel avrebbe potuto dare una spinta in più ai suoi personaggi - ma dimostra lo stesso più coerenza di molte saghe mainstream. Anche la morale nerissima e nichilista (perché sì, alla fine c’è anche una sorta di morale nascosta in quest’orgia di depravazione) è perfettamente in linea con i capitoli precedenti: non esiste redenzione per individui come Peter e Crusty. Non può esserci e mai ci sarà: in una specie di giudizio divino in cui i due sono condannati alla dannazione eterna per le loro reprorevoli azioni.
Paese, Anno: USA, 2007
Regia: Fred Vogel
Sceneggiatura: Fred Vogel, Cristie Whiles
Interpreti: Fred Vogel. Cristie Whiles
Colonna sonora: Rue The Murder Junkies
Produzione: Toetag Pictures
Distribuzione: Toetag Pictures
Durata: 84'