
Quarto film di Gabriele Salvatores, terzo della cosidetta trilogia della fuga, poi quadrilogia posticcia con Puerto Escondido, è una delle migliori pellicole del regista, che riesce a infondere in questa sua commedia toni di drammaticità e forte intensità per lui inusuali. Tra Federico (Fabrizio Bentivoglio) e Dario (Diego Abantantuono), entrambi attori di teatro, c’è un’amicizia ultradecennale, ma mentre sono in turné per rappresentare Il Giardino dei Ciliegi Federico accusa un tracollo emotivo e mollerebbe tutto se non fosse pel sostegno di Dario. Motivo di ciò, una crisi con la sua fidanzata (Laura Morante) che esplode fino a lacerarlo quando scopre che ha un amante e questo è proprio Dario. Brandelli di amicizia e forte amore della donna per i due tengono il trio attaccato in un triangolo più realistico e meno celestiale di quello leggendario di Jules et Jim (1962). È l’occasione che Salvatores ha per palpare un po’ le psiche dei suoi personaggi, che rappresentano i tipi dell’introverso (Bentivoglio), dell’estroverso (Abantantuono) e della donna (Morante). I rapporti infine si ribaltano allorchè la scia del successo devia da Dario a Federico e un’osservatore dell’americano Francis Ford Coppola richiede quest’ultimo e non quello per un ruolo al cinema. Lieto fine con gli amici che depongono le armi della loro rivalità lavorativa – nata per una donna in fondo – e riesumano sprazzi dell’antica amicizia giovanile. Nelle sofferenze dei tre è inscritto, non sappiamo quanto consapevolmente o meno dal regista, l’animale uomo in età adulta. Due amici che si portano al successo l’uno l’altro fin quando una donna – oggetto del desiderio e causa della discordia - non volge ciò in un’accesa rivalità , che se si gioca sul terreno sociale ha il suo vero campo in quello sessuale. Nella donna invece – una splendida Morante, che troviamo sempre in forma – son compendiati i due atteggiamenti d’amore tipici del femminino, affetto materno e incondizionato all’amato che vede debole, ammirazione per quello ritenuto forte, che è pure usato come sostegno psichico e sociale. Con i ruoli e i rapporti che cambiano però – quando la fortuna nella carriera/sociale fa precipitare Dario nella lacrime di Fabrizio e questo nella forza di Dario – Salvatores riesce a far apparire più chiare le suddette tematiche, pur non essendo mai didascalico e facendo prevalere nel suo film una dolce sentimentalità che fa la sponda tra attimi di malinconia e il legame d’una amicizia destinata a finire ma che vuole sopravvivere. Il lieto fine con una rappacificazione generale e la rivincita dell’amicizia adolescenziale che la vita vuole distrutta – il tema della trilogia della fuga che dicevamo all’inizio, tra l’altro – ci fa sospettare che in fin dei conti questo Turné sia ben più da sognatori che il più idilliaco e irreale Jules et Jim.