Ci sarà un motivo per cui il Bessoni di scuola Avati si affida a cupe e mortifere atmosfere per il suo Imago Mortis, o del perché lo Zampaglione reduce dal poco riuscito esordio cinematografico, abbia trovato in Shadow il riconoscimento del proprio talento. L'horror continua ad essere una boa di salvataggio per esordienti cineasti che tentano di emergere dall'anonimato o semplicemente un ottimo mezzo per risollevare le proprie credenziali. La possibilità di raggiungere discreti (il più delle volte ci si accontenta di appena sufficienti) risultati a fronte di spese spesso irrisorie, è un ottimo incentivo per spingersi nei meandri scoscesi della paura e del brivido. Per quanto il genere si fondi su schematismi ben rodati e (fin troppo) oliati, tuttavia, non è cosa semplice far presa su un pubblico, sì sensibile al fascino del lugubre, ma che vampirizza il mercato necessitando sempre di nuova carne sul fuoco. Il giovane Lorenzo Lombardi (classe '86) vede la sua prima pellicola varcare la proibitiva muraglia della grande distribuzione dopo due anni di attese. Ma mentre i sopracitati predecessori trovano una immaginifica ispirazione nella tradizione italiana di genere (da Bava a Argento), il regista aretino si affaccia oltreoceano con la bramosa impazienza di imitare il cinema americano. Comincia come un road-movie il viaggio premuto sul pedale della libertà di David, Sarah e Nicole, tre ragazzi che, finita la scuola, si immettono su strada per andare al concerto del loro gruppo preferito. A una stazione di servizio, i giovani vengono derubati dei loro portafogli da due delinquenti. Senza soldi e senza una meta, sostano ad un market per chiamare la polizia e denunciare l'accaduto. Una volta lì, senza un posto dove pernottare, decidono di rimanere all'interno del supermercato, nascondendosi dagli inservienti durante la chiusura. Ma nel corso della notte scopriranno di non essere soli, e che qualcuno ha fatto del market il proprio covo per portare a compimento delle indicibili atrocità . La distribuzione in un periodo che nelle sale italiane non gode di grande considerazione, unito al budget minimo a disposizione, sono le premesse che solo una piacevole sorpresa avrebbe potuto bilanciare. Ma bastano i primi minuti di un preambolo imbarazzante, e di una recitazione – quella dei protagonisti – quasi amatoriale, ad abbassare la soglia delle aspettative. In un film che si presenta come un torture movie che strizza l'occhio a Hostel, le uniche cose interessanti (e si badi, soltanto per gli amanti del genere), ovvero quando Blitch apre il sipario sul vivo dell'azione, arrivano dopo più di quaranta minuti (su una pellicola di 88), e cioè quando già lo spettatore si è assuefatto al basso standard della prima metà del film. A fronte delle scarse risorse a disposizione, Lombardi mette a nudo tutta la propria inesperienza, e tentando il gioco citazionista d'autore à la Tarantino, riesce solo ad esaltare la versatilità di Oliviero Blitch, l'omicida col vezzo dell'eloquenza, vero mattatore con la sua monologante apologia omicida. Senza una storia avvincente, privo della giusta dose di tensione, il viaggio senza meta dei tre sventurati ragazzi diventa un film senza meta, che non inquieta, né tanto meno atterrisce. Accogliendo il gusto per la citazione del precoce regista, ci commiatiamo con un augurio che possa essere di buon auspicio: «Il più grande talento matura lentamente».