Film di metà carriera di Dino Risi, In nome del popolo italiano è una delle sue prove migliori. Fu girato nel 1971 intorno alle figure di Vittorio Gassman (l’imprenditore Santenocito) e Ugo Tognazzi (il giudice Bonifazi) con la bella Ely Galleani (la prostituta morta) a far da casus belli. Rispolverato negli anni di Tangentopoli, in cui fu intervistato anche Dino Risi nel corso della riflessione sul potere discrezionale dei giudici, lo si può trovare ancora più aderente alla cronaca ai giorni nostri, in cui il premier Berlusconi patisce i danni d’immagine dopo i suoi scandali a base di prostitute e festini. Il giudice Bonifazi, che si trova ad indagare intorno alla morte della prostituta d’alto bordo Silvana Lazzorini, un po’ casualmente si imbatte nel nome del Santenocito – spietato e spregiudicato imprenditore – e si accanisce contro di lui. Alla fine riesce a incastrarlo, anche se il Santenocito è innocente e colpevole solo d’esser passato dalla ragazza la sera della morte. Anche dopo aver scoperto le prove della sua innocenza – quaderni in cui la giovane soffriva per la sua condizione e meditava il suicidio – decide comunque di mandarlo dentro, forse per risentimento verso la volgarità di quello stesso popolo italiano nel nome del quale egli agisce ma che il Santenocito incarna pur nel suo essere parte dell’elite socioculturale. Il film è una storia e riflessione aspra, dalla tremenda oggettività , che oggi sarebbe bene trasmettere in prima serata a ritmo settimanale, per spronare negli italiani un minimo di onestà intellettuale, persi come sono nelle loro partigianerie colme di risentimento. I due uomini sono un po’ il meglio della classe che rappresentano: il Santenocito uno spregiudicato imprenditore, spietato anche con suo padre, tuttavia non di poca eleganza e cultura, certamente non un assassino oltre che molto schietto nelle sue azioni, che sono adeguate alla società , non corrutrice di questa; Bonifazi è un giudice integerrimo, casto e puro, non solo sessualmente ma in tutta la sua vita, scevro da vizi ma anche molto solo e ancor più freddo di cuore. Pel Santenocito prova odio – la ragazza non l’avrà uccisa, forse, ma di crimini ne ha commessi tanti altri -, per la ragazza certo nessuna pietà , pur leggendone lui stesso il diario in cui rivela tutta la sua sofferenza. Alla fine è implacabile e le scene finali suggeriscono che la sua implacabilità non avviene per senso di giustizia, ma probabilmente per astio verso il popolo italiano, che dopo una vittoria dell’Italia sull’Inghilterra irrompe in piazza e con le facce del Santenocito dà via a un bordello di volgarità e squallore. Chi è il migliore? Chi è il peggiore? In fin dei conti i più diranno probabilmente il giudice, almeno a livello umano. Sul Santenocito e quelli come lui, comunque, la macchia di essere i padroni che mangiano sugli schiavi e rovinano le loro donne, pur senza particolar crudeltà e con molta onestà interiore.