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Piccoli, innocenti, pieni di sogni, i bambini sono una miniera di fantasia, un mondo di candida immaginazione. Perché, dunque, rovinare la loro giovinezza trasformandoli in adulti prima del tempo? Questa è la domanda che ci pone Daniele Gaglianone nel suo ultimo lavoro, Ruggine. Intenso, profondo, riflessivo, il nuovo film del regista ci invita a riflettere e a guardare il mondo da vari punti di vista, alternando il presente al passato di esistenze spezzate, di sogni infranti, di vite rovinate. In un piccolo paesino di periferia, dove le macchine abbandonate sono parte integrante del paesaggio urbano, un gruppo di bambini, definiti "la banda degli Alveari", passa le sue giornate giocando in uno sporco e pericoloso ammasso di ferraglia, che loro chiamano "castello". E mentre sbocciano i primi amori e iniziano le prime contese, la pace del luogo viene contaminata dall'arrivo del Dottor Boldrini. L'uomo, fin troppo disponibile a visitare i suoi pazienti, è affetto da problemi psicologici e da un amore incondizionato per i bambini, tanto forte da spingerlo a rapirli e a ucciderli. Carmine, Sandro e Cinzia, di nascosto, scoprono la vera indole dell'uomo ma non possono rivelarlo agli adulti, poiché il dottore è un uomo stimato da tutti. Quando l'uomo rapirà Rosalia, la piccola sorellina di Carmine, però, i bambini saranno costretti a diventare grandi per sconfiggere il mostro con le proprie forze. Che Filippo Timi fosse uno degli attori italiani più talentuosi del momento, l'avevamo già scoperto da tempo, quando, grazie a Vincere, aveva dimostrato di saper reggere sulle proprie spalle il peso di una complessa sceneggiatura. Ecco dunque che Gaglianone, già apprezzato regista de I nostri anni, lo sceglie per interpretare il ruolo di un villan involontariamente (?) crudele e malvagio. Agli occhi dei bambini - e degli spettatori - egli appare come l'uomo nero, spesso ripreso di spalle, di scorcio, fuori fuoco. Come per M. il mostro di Dusserdolf, il suo arrivo e l'inizio della sua "caccia" sono preannunciate da suoni verbali, in questo caso cantilene, nenie o pezzi di storie. Anche se alla fine avranno la meglio, i bambini non dimenticheranno più il volto e le azioni del mostro che ha distrutto i loro sogni e rovinato, per sempre, le loro vite. I fantasmi del passato, infatti, hanno lasciato il segno, si sono incisi nella loro pelle e tornano quando si spengono le luci. Carmine, un eccellente Valerio Mastandrea, ha perso il proprio coraggio e la voglia di vivere, essendosi trasformato in un ubriacone cinico e disincantato; Sandro, un tenero Stefano Accorsi, è diventato un ottimo padre che cerca, costantemente, di preparare il figlio Michele ad affrontare le paure della vita; Cinzia, una timida Valeria Solarino, infine, è una donna acerba e fragile alle prese con le ingiustizie del mondo lavorativo. Sebbene il cast sia di prim'ordine, Ruggine presenta degli evidenti errori di montaggio: stacchi affrettati, sfocature ricorrenti, sbalzi temporali poco fluidi. Nonostante l'idea di alternare tre livelli temporali sia utile ad immettere lo spettatore nel meccanismo della storia, la sceneggiatura avrebbe avuto bisogno di un'attenta revisione. Il pubblico, infatti, riesce a capire soltanto alla fine (e con non poca difficoltà) quale sia il passato degli adulti e perché ogni personaggio sia finito nella spirale di disperazione del presente. Sebbene le ambientazioni ricordino la garroniana Gomorra e l'assunzione del punto di vista infantile il riuscitissimo Io non ho paura, Ruggine riesce comunque a differenzarsi dalla massa. Il film, infatti, funziona perché scuote lo spettatore dal torpore che lo circonda e lo sprona a guardare il mondo con gli occhi di un bambino, senza abbassare troppo la guardia.