La Guerra Fredda aveva instaurato un regime di silenziosa paura. Gli anni ’60 e ’70, infatti, sono da sempre considerati uno dei più duri periodi di tutti i tempi. Il popolo era terrorizzato perché, a differenza dei periodi di guerra dichiarata, non si conoscevano i termini e le modalità con cui sarebbe potuto scaturire lo scontro. Dopo anni passati ad aver paura di qualsiasi ombra e di qualsiasi silenzio, l’uomo ha iniziato a ragionare sull’incertezza del futuro, ipotizzando mondi lontani, sconosciuti e alieni. In questo modo, le preoccupazioni potevano essere confinate altrove e si aveva l’impressione di stare al sicuro, separati dalle avversità della vita. Nel 1968 un affermato regista giapponese, americano d’adozione, Franklin J. Schaffner, immagina la distruzione dell’umanità per mano dell’uomo e della sua perfidia. A prendere le redini del mondo, ci sono i predecessori degli esseri umani: le scimmie. Il pianeta delle scimmie, infatti, racconta la storia di quattro astronauti che, allontanatisi dalla Terra di 2.000 anni luce, precipitano su un Pianeta sconosciuto. Mentre l’unica donna muore prima ancora di atterrare, gli uomini dovranno lottare per sopravvivere in un mondo impervio e primitivo dominato dalle scimmie. Il residuo di umanità e civiltà è riposto nelle tribù preistoriche dei pochi umani rimasti, regrediti ad uno stadio evolutivo arcaico e, quindi, incapaci di parlare e di esprimersi. I cosmonauti vengono imprigionati, trattati come schiavi e analizzati come cavie da laboratorio. Taylor è l’unico che riesce a sopravvivere poiché dimostra alla dottoressa Zira e al suo compagno, il dottor Cornelius, di essere un umano intelligente ed evoluto. Dopo essere riuscito a fuggire insieme a Nova, la donna primitiva con cui condivideva la cella, l’uomo si mette alla ricerca della sua astronave e di un modo per tornare a casa. Franklin J. Schaffner è coraggioso nel voler portare sullo schermo una pellicola del genere, tanto provocatoria quanto critica. Eppure non ha avuto paura, si è assunto il rischio. Per rendere la pillola più dolce ha utilizzato lo “zucchero”, ovvero il celebre Charlton Heston, noto al pubblico per il suo ruolo in Ben Hur, e la bella Linda Harrison, meglio conosciuta come la Wonder Woman della TV americana. All’accurata fotografia di Leon Shamroy e alle arcaiche musiche di Jerry Goldsmith, il compito di rappresentare le atmosfere e il paesaggio in modo sempre più selvaggio ed ostile, di pari passo con le peripezie dei protagonisti. Magistrale la regia di Schaffner che realizza un film di fantascienza carico di adrenalina per scuotere i suoi simili, gli umani, dal torpore di cui erano prigionieri.