Dopo il tentativo burtoniano - più o meno riuscito - di riportare in auge una delle più ambiziose e fantascientifiche saghe di tutti i tempi - Planet of the Apes - Il Pianeta delle Scimmie (2001) - il regista Rupert Wyatt ha preso la palla al balzo per realizzarne un altro capitolo. Consapevole del fascino che lo spettatore, di ieri e di oggi, nutre per una civiltà diversa e opposta alla propria - basti pensare al successo di Avatar - ha deciso di raccontare l'inizio della storia delle "scimmie evolute" e la relativa nascita del loro pianeta. L'alba del pianeta delle scimmie, tuttavia, non può però essere considerato un vero e proprio prequel. La pellicola non intende spiegare i motivi che hanno causato la creazione delle scimmie intelligenti sfruttando i personaggi che, nel 1968, diedero origine alla lotta tra scimmie evolute e umani primitivi. Il film di Wyatt intende, semmai, ipotizzare un possibile passato che possa giustificare - sempre ammesso che ce ne sia bisogno - la regressione intellettuale dell'uomo e, rispettivamente, l'evoluzione degli scimpanzé. In un presente non meglio specificato (eppure attuale), il laboratorio Genesis testa sulle scimmie una cura sperimentale contro il Parkinson. Inizialmente gli effetti del medicinale sembrano miracolosi: l'intelligenza della cavia animale viene sviluppata in modo esponenziale, con imprevisti effetti collaterali. Più il cervello dell'animale si evolve, più la bestia diventa aggressiva e rabbiosa. Il direttore della clinica, pensando che tutte le scimmie del reparto siano state contagiate, ne ordina la soppressione. Il dottore Will Roadman (James Franco) non vuole uccidere il cucciolo della prima scimmia intelligente sottoposta alla cura sperimentale, decide quindi di allevarlo in casa sua, di istruirlo e di crescerlo come un qualsiasi altro animale da compagnia. Cesare si rivela subito estremamente intelligente e, quando finisce rinchiuso in gabbia tra i suoi simili meno evoluti, diventa il leader del gruppo e trova il modo per potenziare le doti di una razza, la sua, in continua evoluzione. Ha così inizio la lotta tra uomini e scimmie, tra padroni e servi, tra carnefici e vittime, per la libertà e l'indipendenza della propria specie. La possibilità di realizzare un film all'altezza dei precedenti era un'impresa davvero difficile. Non per lui: Rupert Wyatt, regista "esordiente" con un paio di film alle spalle, ce l'ha fatta. Con un'abilità registica al di sopra della norma e un'armoniosa direzione attoriale degna del migliore direttore d'orchestra, Wyatt introduce subito lo spettatore in un mondo (comune) ripreso a 360 gradi. La macchina da presa è in costante movimento: curiosa e affamata si muove sinuosamente (e vorticosamente) alla ricerca della verità . Seguendo passo passo la crescita di Cesare, infatti, la telecamera mostra di continuo delle graduali visioni d'insieme: prima dal vetro frammentato della finestra, poi dalle sbarre della cella e, infine, dall'alto degli alberi. Nonostante gli attori "umani" siano strepitosi e affiatati - con un James Franco al massimo della forma e un Tom Felton che non riesce a fare a meno di impugnare le armi come fossero delle bacchette magiche - le vere protagoniste sono le scimmie. A livello di make up, inutile negarlo, ricordano più le creature kubrickiane dell'odissea nello spazio che gli scimpanzé de Il pianeta delle scimmie, ma riescono comunque a suscitare la giusta dose di empatia tra spettatore (umano) e personaggio (animale). Le scenografie, curate nel dettaglio, scatenano un gioco citazionistico con gli spettatori amanti della saga: ogni particolare è stato pensato per ricordare azioni, personaggi o eventi degli episodi precedenti. L'alba del pianeta delle scimmie si rivela un'opera attenta a non "infangare" i suoi genitori bensì, piuttosto, si incarica di portare alto lo stendardo delle creature nate dalla penna di Pierre Boulle. É un film intelligente che appassiona, coinvolge e commuove: impossibile rimanere indifferenti davanti al bisogno di libertà ... umano o animale che sia.