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Super

14/10/2011 11:00

Lorenzo Pedrazzi

Recensione Film,

Super

Cinecomic indipendente che reinterpreta il ruolo iconico dei supereroi nell'immaginario collettivo

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Frank D'Arbo, mite commesso di una tavola calda, quasi non riesce a credere di essere sposato con Sarah, una ragazza bella ma dal passato burrascoso. Il sogno s'infrange quando Sarah viene circuita da Jacques, un ironico gangster che la fa precipitare nuovamente nella dipendenza dalla droga: Frank vede così allontanarsi la sua principale ragione di vita, ma dopo aver visto in televisione le gesta del Santo Vendicatore - un supereroe che riporta i giovani sul cammino della buona cristianità - decide di seguire la stessa strada. Inguainato in un costume rosso, armato di una chiave inglese, Frank diviene la Saetta Purpurea (Crimson Bolt), giustiziere che raddrizza i torti e punisce i criminali.


Per chi non lo conoscesse, James Gunn è un matto con tanto senso dell'umorismo e una notevole riserva d'idee, coltivate sui percorsi paralleli dell'industria (con le sceneggiature dei due Scooby Doo e di L'alba dei morti viventi) e delle produzioni indipendenti a basso costo (basti citare il cult Tromeo & Juliet e l'irresistibile serie web PG-Porn), dove ha potuto esprimere meglio il suo potenziale creativo. Anche Super appartiene a questa categoria, e s'inserisce coerentemente nel quadro di un cinema indie che, alla pari di Hollywood, ma con metodi, obiettivi e occhi differenti, ha ormai incoronato il cinecomic come vero e proprio genere, sfruttandolo per riempire i vuoti dei blockbuster milionari. L'impressione, in particolare, è che i cinecomic indipendenti sappiano riflettere meglio sul ruolo iconico dei fumetti e dei supereroi nell'immaginario collettivo, eleggendoli a veicolo di frustrazioni tipicamente occidentali, mete desiderabili per figure umane depresse e alienate dalla contemporaneità; concetti, questi, che James Gunn reinterpreta lucidamente a modo suo, dando sfogo a quella vena grottesca e a quegli eccessi parossistici che già si agitavano nei suoi progetti più personali. Cresciuto a pane, fumetti e cultura popolare (sempre che abbia senso questa definizione un po' spocchiosa e paternalista), Gunn lascia emergere ciò che nella gran parte dei cinecomic - ma anche in molte storie disegnate - rimane sottinteso: il supereroe non è altro che un emarginato sociale, covo di nevrosi che deflagrano nell'improbabile lotta contro il crimine, dietro a maschere e costumi che celano, paradossalmente, il terrore dell'anonimato (anche se ovviamente questo non vale per tutti i personaggi).


Il Frank D'Arbo di Super, in fondo, non è guidato solo dal desiderio di riavere la sua amata, o da quell'allucinante investitura divina che nasconde tracce di follia; egli indossa il suo costume artigianale per fuggire da una personalità, da un carattere e da un aspetto fisico che gli altri considerano intangibili, fragili, ininfluenti. Il paragone può sembrare sproporzionato, ma le ragioni che spingono Frank ad assumere la maschera e il ruolo di Crimson Bolt non sono così diverse dalle motivazioni di Bruce Wayne nei film di Christopher Nolan: anche qui si tratta di creare un'icona, qualcosa che sia più che umano, poiché la genesi di tutti i supereroi, a ben vedere, affonda le radici in terreni contigui. Gunn usa però l'arma della satira, premendo sulla parodia in modo più esplicito di Kick-Ass, e con maggiore libertà creativa nella messa in scena dell'assurdo. Gli stessi personaggi sono figli di un contesto parossistico e sopra le righe: Boltie, psicopatica sidekick del protagonista, volto e corpo di una scatenata Ellen Page, è un ricettacolo d'impulsi primari che spaziano dal sadismo alla sessualità maliziosa, illuminando quei coni d'ombra che i cinecomic mainstream (e in parte gli stessi fumetti a larga distribuzione) non possono valorizzare. Il gioco di Gunn, in tal senso, si fa a tratti quasi estenuante, nonché un poco prevedibile in alcune scelte visive di stampo fumettistico; ma, da conoscitore del genere, centra un finale commovente ed emotivo, che lascia trasparire lo spirito di sacrificio disinteressato e puramente altruistico insito nella figura del supereroe, qui ritratto come un uomo comune che si ribella alle vessazioni del "bullismo" criminale. La sensazione, comunque, è che per apprezzarlo sia necessaria una sensibilità spiccatamente nerd, ma nel senso più maturo del termine. Non che sia un male, anzi: Super non si rivolge a tutti gli spettatori, non vuole essere un prodotto mainstream, e in un mercato saturo di cinecomic è decisamente meglio così.


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