
In clamoroso anticipo come un derby ad agosto, arriva la cinepanettonata ottobrina firmata da Claudio Risi, che già nel 2007 aveva diretto Natale alle Bahamas. Effettivamente basta sostituire il “Natale” con un termine qualsiasi e la gallina del cinema italiano è in grado di partorire il suo uovo d’oro in ogni momento dell’anno. Di fronte a un film come questo c’è davvero poco da dire: chi va al cinema a vederlo (e ci andranno, come sempre, in parecchi) sa già benissimo cosa aspettarsi e spende i soldi del biglietto proprio perché è assolutamente conscio che il film non tradirà minimamente le sue aspettative. Gli attori sono sempre gli stessi, la trama è una copia-carbone modificata in modo impercettibile di pellicola in pellicola, il tipo di comicità è quello più fisico e immediato: gli anglofoni lo definiscono trash, in Italia diciamo “di pancia”. Lorenzo (Massimo Boldi) è un imprenditore del nord che gestisce una televisione privata specializzata in televendite: vive con la romanissima Elvira (Paola Minaccioni) e insieme hanno costruito una fortuna frodando sistematicamente il fisco. Un giorno partono in treno per Parigi assieme al loro socio Leonardo (Massimo Ceccherini), segretamente invaghito di Elvira, per andare a trovare il figlio Mirko (Emanuele Bosi) che studia pittura alla Scuola d’Arte. Sul treno incontrano Gennaro (Biagio Izzo) con la moglie (Anna Maria Barbera) e la figlia Natalina (Diana Del Bufalo), anche loro diretti a Parigi per raggiungere il figlio Diego (Guglielmo Scilla) che studia moda anche lui alla Scuola d’Arte. Convinto che Gennaro sia il classico napoletano mariuolo, Lorenzo gli spiattella i suoi trucchi per frodare l’erario senza sapere che il suo interlocutore è in realtà un integerrimo finanziere. Quando lo scopre, Lorenzo cerca di catturarsi le simpatie di Gennaro, aiutato anche dal fatto che i figli sono talmente amici da condividere l’appartamento e che Natalina finisce per innamorarsi di Mirko. A corollario c’è il personaggio di Francois Leroy (Rocco Siffredi), un affascinante stilista francese con cui Elvira vorrebbe tradire il marito salvo poi accorgersi che lui è più attratto dal povero Leonardo. Senza dimenticare la coppia di tassisti romani Annibale (Enzo Salvi) e Anita (Loredana De Nardis) che provano in ogni modo ad avere un figlio. Gli amanti del genere avranno pane per i loro denti, mentre chi questi film li ha sempre disprezzati non cambierà idea di certo per questo Matrimonio a Parigi. Anche perché la premiata formula-riciclo senza precisi ingredienti funziona a singhiozzo: molte situazioni sono davvero troppo scontate così come la comicità che ne deriva (dove potrà mai finire il naso della maschera di Pinocchio lasciata sulla sedia?) e gli attori (Boldi in particolare) appaiono stanchi e ripetitivi. I calembour linguistici della Barbera (la relegheranno a fare Sconsy a vita?) annoiano rapidamente, Enzo Salvi è poco più di "mammamiacommmmesto" (basta vedere il recente Una cella per due), la verve comica della Minaccioni è usata con il contagocce, così come quella dei bravi Ceccherini e Izzo. Troppa carne al fuoco e poco spazio per tutti, per giunta dedicato ai clichè che li hanno resi famosi. E come si fa a sdoganare il buon Rocco nazionale quando i suoi preziosi attributi aleggiano per tutto il film? Si ha la sensazione che anche per questi film sia arrivato il momento di cercare di rinnovarsi un po’, ma poi saranno i biglietti staccati a dire l’unica verità che davvero conta.