Tratto dall’omonimo romanzo di Mario Desiati (edito da Oscar Mondadori), Il paese delle spose infelici è l’opera prima di Pippo Mezzapesa, cineasta che si era già fatto notare tra gli addetti ai lavori grazie al documentario Pinuccio Lovero – Sogno di una morte di mezza estate, storia di un vecchio custode del cimitero di Mariotto, piccolo paese dove la Morte sembra essere andata in vacanza. Tutta la produzione di Mezzapesa, antecedente al debutto cinematografico, formata da qualche corto e da un altro documentario, si fonda sull’amore del regista per la sua terra natia, la Puglia. Non a caso, Mezzapesa gira corti su Antonio Cassano, il famoso e controverso fantasista del calcio italiano. Per il suo primo lungometraggio, il regista decide di non abbandonare le sue radici, gioca in casa, narrando una storia che va di pari passo con la contemplazione dell’entroterra di Taranto. Veleno (Nicolas Orzella) è un ragazzo di quindici anni che, in piena fase adolescenziale, fa amicizia con Zazà (Luca Schipani), talento del calcio e capo di una squadra sgangherata di cui fanno parte Cimasa (Cosimo Villani), Capodiferro (Vincenzo Leggeri) e Natuccio (Gennaro Albano). Veleno, con la sua inseparabile bicicletta, diventa testimone dei sogni di grandezza della Cosmica Calcio, e asseconda le grandi ambizioni di Zazà che, spinto dall’allenatore Cenzoum (Nicola Rignanese), aspetta il giorno in cui un grande club si accorgerà del suo incommensurabile talento, portandolo via da una vita squallida e triste, condivisa con il fratello maggiore Graziano (Roberto Corradino), spacciatore locale che di tanto in tanto utilizza il veloce Zazà come corriere per la droga. Veleno viene ben presto amalgamato in questo mondo di strada, arrivando a fare i conti con la sua identità in divenire, soprattutto dopo aver visto la misteriosa Annalisa (Aylin Prandi) tentare di spiccare il volo avvolta in un vecchio abito da sposa. Una volta c’erano I ragazzi della Via Paal, romanzo di Ferenc Molnà r che raccontava le vicissitudini di un gruppo di ragazzi in una Budapest povera e fredda. Nel 1955 era Pier Paolo Pasolini a raccontare la vita difficile del sottoproletariato urbano, incentrando la trama di Ragazzi di Vita su un gruppo di adolescenti poveri e smaliziati, che vivono alla giornata, cercando espedienti e trucchi per scappare da una realtà desolata e senza prospettive. Pippo Mezzapesa sembra raccogliere questa importante eredità culturale, riproponendo – secondo il suo punto di vista – l’ennesima versione di un gruppo di adolescenti in fase di crescita che trovano nella compagnia reciproca e in varie goliardie tipicamente maschili, la valvola di sfogo per sancire la propria individualità . In questo senso, Il paese delle spose infelici punta su un terreno fertile e agile da esplorare, senza correre eccessivi rischi. Nonostante questo, la narrazione spesso è lenta, piatta, priva di quei riscontri emotivi necessari affinché colpisca lo spettatore al cuore e allo stomaco. Spiccano comunque - oltre alla genuinità interpretativa dei giovani attori - alcuni spunti visivi interessanti, specie quelli che riguardano la costruzione dell’habitat dei personaggi, nei quali Mezzapesa dimostra di conoscere bene il suo territorio, perdendosi in dettagli quasi topografici della sua amatissima Puglia.