Haruka (Noriko Aoyama) torna da un viaggio negli USA con entrambe le gambe fratturate in un incidente automobilistico. Rimasta a casa con il fratello Koichi (Aoi Nakamura), mentre il padre è in viaggio d’affari, di notte iniziano ad accadere fenomeni inspiegabili, segno che i due ragazzi non sono soli in casa. Chiariamolo subito, Paranormal Activity: Tokyo night è una fotocopia sfocata del film di Oren Peli. L’operazione è molto simile a ciò che accadeva anche in Italia negli anni ’70 e ’80: uscita una pellicola di successo, specialmente se di genere, si “rubava” o storpiava il titolo per creare un sequel fittizio che attirasse le folle e portasse un po’ di soldi nelle tasche dei distributori. Spesso i risultati erano disastrosi, ma di tanto in tanto nascevano pellicole interessanti, diventate cult negli anni, come Zombie 2 e 3 di Lucio Fulci o Alien 2 - Sulla Terra di Ciro Ippolito. La stessa pensata l’ha avuta il regista e sceneggiatore Toshikazu Nagae che, visto il successo globale (e inaspettato) della pellicola di Peli, ha deciso di confezionare una sorta di spin-off e sfruttare la fortunata scia di Paranormal Activity. Operazione tutt’altro che condannabile, anche perché sulla carta le potenzialità per confezionare un buon film c’erano tutte: da una parte l'idea di base di uno degli horror più controversi e discussi degli ultimi anni (nonché tra i più fruttiferi al box office); dall'altra la location orientale che avrebbe potuto fornire diversi spunti interessanti, soprattutto se si considera l'orrorifica wave nipponica di qualche anno fa. Tuttavia, se Paranormal Activity: Tokyo night è uscito direct-to-video senza nemmeno troppo scalpore un motivo c’è. Il problema principale del film è che non riesce mai veramente a decollare, né tantomeno a slegarsi dalla pellicola originale: per tutti i novanta minuti (scarsi) di visione si è pervasi da un fastidioso senso di déjà vu che ottenebra anche quei pochi barlumi di originalità che Nagae mette in scena. Anche il fatto stesso di creare un chiaro ponte narrativo, seppur esile e pretestuoso, con il film di Oren Peli è più dannoso che d’aiuto. Poi c’è la regia in stile mockumentary che se nel film originale risultava fluida e funzionale alla narrazione, qui è troppo spesso forzata e artefatta: in preda al terrore (pensate che durante una fuga disperata il primo pensiero sarebbe di prendere la telecamera e assicurarsi che stia filmando?). Infine c’è la recitazione quasi didascalica degli attori (l'unico momento degno di nota è la performance degli ultimi 5 minuti di Noriko Aoyama) che, suggellata da una sceneggiatura tutt’altro che brillante, affossa il film in un susseguirsi di tempi morti in attesa di un sobbalzo sulla sedia che non arriva mai. In definitiva un horror che regala più sbadigli che spaventi e da cui anche i fan più accaniti del genere dovrebbero tenersi alla larga.