Il titolo dato al film di Kim Jee-won contiene tutti gli indizi utili ad inquadrare un'opera decisamente sopra le righe: si tratta di un chiaro omaggio agli Spaghetti Western di Sergio Leone, dal quale è ripreso anche il canovaccio e alcune situazioni fra le più note, condito con degli elementi di estremismo sia estetico che contenutistico, che potrebbero essere classificate come follie vere e proprie. Siamo in Corea, più precisamente in Manchuria, agli inizi del 1900, sotto l’occupazione giapponese. La mappa di un presunto tesoro viene venduta ad un banchiere giapponese da un ricco faccendiere coreano, che intende però recuperarla ingaggiando il temibile killer Manchuria Kid (Byung-heon Lee) e la sua banda. Il bandito arriva a fermare un treno per compiere la propria missione, ma si trova a contendersi il possesso della mappa con il cacciatore di taglie Park Do-Won (Woo-sung Jung) - per la verità più interessato allo stesso criminale - e con un inaspettato outsider, il ladro di polli Yoon Tae-go (Kang-ho Song), improvvisatosi bandito e rocambolescamente impossessatosi dell’oggetto tanto desiderato. Inizia così una folle sequela di inseguimenti e sparatorie in giro per la Corea, che vedrà coinvolte le più disparate bande di malavitosi, criminali, mercenari, spie e persino l’esercito giapponese. Se l’ispirazione tratta dai film di Leone è - come detto - più che marcata, altrettanto forte è la cifra stilistica adottata: sequenze d’azione e sparatorie platealmente inverosimili, una recitazione caricata e stereotipizzata, dialoghi e monologhi fortemente retorici, situazioni comiche surreali, ambientazioni che a tratti ricordano i villaggi di Tatooine in Star Wars e colori saturi e vivaci che rimandano ad un’estetica da anime. È proprio considerando questo film come una sorta di opera d’animazione che se ne possono, se non apprezzare pienamente, quanto meno accettare gli eccessi e i limiti, fra i quali una durata che raggiunge le due ore e venti. Una nota di colore (ulteriore) è data dalla simpatica colonna sonora, che presenta alcuni brani abusatissimi, ma anche per questo si adatta bene al film e accompagna in modo divertente la visione. Il buono, il matto, il cattivo è un film curioso, per certi versi affascinante, troppo semplice nell’intreccio, bizzarramente citazionista, poco approfondito nello studio dei dialoghi per avvincere pienamente, e probabilmente davvero apprezzabile solo a partire da un background culturale che non appartiene allo spettatore occidentale medio.