Un’altra piccola gemma incastonata nella preziosa collana cinematografica griffata Woody Allen. Il regista newyorkese disegna una commedia perfetta da far indossare, come un abito da festa, ad una Parigi ricca di fascino e brulicante di vita, misteriosa e frizzante. L’eterna mitizzazione del passato, l’esaltazione di un “periodo d’oro” che non tornerà: da sempre l’uomo è vittima consapevole di questa sindrome, dall’antica Grecia (“ed io pur con eroi son visso un tempo di voi più prodi… di quanti mortali or crea la terra niun potria pareggiarli” dice il vecchio Nestore ad Achille) fino ai giorni nostri. Anche Gil (Owen Wilson nell’involucro esteriore, Allen in quello interiore) è bloccato in questo circolo vizioso: aspirante romanziere, ha sacrificato l’alloro dei poeti sull’altare della villa a Malibu, imbavagliando la sua musa e gonfiando il suo portafoglio con una fortunata carriera da sceneggiatore cinematografico a Hollywood. Dura per chi sognava di essere Hemingway ridursi a catena di montaggio per blockbuster; ma per la futura moglie Inez (Rachel McAdams) e i suoi genitori, repubblicani da tea party, il problema non sussiste: la carriera è in rampa di lancio e le velleità artistiche sono qualcosa da guardare con sospetto. Ma la Ville Lumiere risveglia la musa assopita di Gil che si rituffa nel suo romanzo estraniandosi sempre di più da Rachel e famiglia e dall’insopportabilmente saccente amico di Rachel, Paul (uno strepitoso Michael Sheen), logorroico tuttologo dall’eloquio fluviale e dall’ego spropositato. La magia di Parigi cattura a tal punto Gil che ogni sera, a cavallo della mezzanotte, si ritrova proiettato negli anni ’20, in una capitale francese centro del mondo dell’arte e della cultura, fertile e piena di formidabili personalità. Nei suoi “viaggi” finisce per innamorarsi della bella Adriana (Marillon Cotillard), una sorta di “amante di artisti”, impegnata in una burrascosa liaison con Picasso. Passo dopo passo, Gil inizia a sentirsi appagato, sia intellettualmente che sentimentalmente, solo nel suo passato ideale, ma scoprirà presto di non essere l’unico ad averne uno. Da Hemingway ai coniugi Fitzgerald, da Cole Porter a Gertrude Stein, da Salvador Dalì a Luis Bunuel e Pablo Picasso, Gil viene in contatto con tutti i mostri sacri delle Arti di inizio '900, tra situazioni esilaranti e dialoghi fulminanti. Allen cosparge il film di trovate geniali spiazzando continuamente lo spettatore e travolgendolo con un diluvio di comicità irresistibile: l’aggressività fisica e verbale di Hemingway, il dialogo davanti a un quadro di Picasso che Gil aveva visto dipingere in diretta la sera prima, la delirante conversazione con Dalì (Adrien Brody). Allen riempie ogni fotogramma di parole, suoni e immagini memorabili trasformando Parigi in una sorta di non-luogo fantastico dove diventa possibile qualsiasi cosa, chiudendo con un finale romanticamente (questo sì) reale. Nel cast due piccole parti (una fondamentale ai fini dell’intreccio, l’altra marginale) per la splendida Lea Seydoux nel ruolo della negoziante Gabrielle, e per la premiere dame Carla Bruni nel ruolo di un’accompagnatrice turistica.